SAVIO PIETRO

SAVIO PIETRO (1822 - 1879)

poeta popolare

Nacque a San Daniele del Friuli nel 1822, ma la sua vicenda ebbe come cornice Udine, con una bottega di barbiere, anche se lui si definiva «paruchir poete» (o «peruchir poete»), forse perché «si era dedicato alla specialità delle ‘parrucche’ allora abbastanza in uso fra i calvi» (Pilosio). Non mette conto insistere sulla bottega come luogo d’incontro, cellula della aggregazione. Macchietta bizzarra della Udine del tempo, S. ne osserva i costumi (o il malcostume), i piccoli eventi e i minuscoli protagonisti, stigmatizzandoli: personaggi e situazioni riconoscibili forse per il destinatario reale, anonimi e muti ai nostri occhi di posteri, bersaglio di una censura blanda, se non addirittura amabile, a dispetto del soprannome adottato, “Velen”. S. è autore generoso, dalla vena facile, senza ritrosie per l’estemporaneità, come accertano opuscoli e fogli volanti: In ocasion del vin gnuv [In occasione del vino nuovo] (1865), Dialogo fra Zeff e Gaetan a la botteghe di caffè sore l’abolizion dai colaz di Nadal e fujazzis di Pasche [Dialogo fra Giuseppe e Gaetano nella bottega di caffè sopra l’abolizione delle ciambelle di Natale e focacce di Pasqua] (1868), Manifest di Pieri Savi clamat Velen ai siei futurs elettors [Manifesto di Pietro Savio chiamato Veleno ai suoi futuri elettori] (1870), per saggiare. S. si propone con raccolte di versi: Poesiis furlanis [Poesie friulane] (1854), Il peruchir poete. Poesiis ineditis [Il parrucchiere poeta. Poesie inedite] (1863), Poesiis alegris [Poesie allegre] (1867), con sistematici cambi di stampatore. Ma importano i lunari, che lo collocano di necessità sulla scia di Zorutti. S. si produce in quattordici numeri, non senza ritocchi alla testata (e con febbrili avvicendamenti di tipografie, anche milanesi, indizio di una resa non felice): dopo l’esordio con «Il paruchir poete. ... leggi Giornal e lunari» per il 1857 e il 1858, si registra il silenzio («Silenzios par qualchi an, / senze dà segno di vite, / senze chioli pene in man…» [Silenzioso per qualche anno, / senza dare segno di vita, / senza prendere penna in mano…]), poi si offre la bella serie di dodici presenze ininterrotte – tra 1868 e 1879 – del «Giornal e lunari furlan», poi «Giornal e lunari», «Il strolic furlan. Giornale e lunario», sempre con l’addenda «di Pieri Savi clamat Velen». Tra il primo e l’ultimo anello, Leone Pilosio ha colto il variare del contesto, «dell’infocata e delusa atmosfera del tempo», dei «tempi procellosi», nella fase iniziale, quando nel «negozio dovevano giungere tutte le voci e tutte le malignità del momento» («Che varin simpri malans / fin che durin chei cunfins / cun chei lofs cussì vicins / ma però si assicure / che l’è alc in bolidure / e che prest ju sburtaran / qualchi mie plui lontan» [Che avremo sempre malanni / finché durano quei confini / con quei lupi così vicini / ma però si assicura / che qualcosa sta fermentando / e che presto li spingeranno / qualche miglio più lontano]), un successivo ammorbidirsi di «quel senso di scoramento», «di sfiducia e di amarezza», mentre i fascicoli estremi lasciano affiorare l’epilogo ormai prossimo: «L’ultimo ‘Strolich’ uscì, si può dire quando il povero – e veramente povero fu, anche per i modesti proventi del suo lavoro – poeta ‘peruchir’ viveva i suoi ultimi tristi giorni nella corsia dell’ospedale». Ma, a verificare meglio temi e tecniche, varrà un sondaggio in una raccolta singola, quella del 1863, un volumetto «plen di storielis / d’ogni genar, di petess / di massariis, camarelis» [pieno di storielle / di ogni genere, di pettegolezzi / di donne di servizio, cameriere], volto a colpire, alternando epigrammi e componimenti più distesi, i capricci della moda, bellimbusti e ciarlatani, avari e protervi contadini inurbati, malmaritate e smorfiose, equivoci e festini farseschi: una materia resa familiare e vincolante da Zorutti, al quale riportano anche certe scelte retoriche. Come la figura del catalogo, dove si avverte il gusto del grottesco: «Je sporchie, je cragnose e tabacone, / indolent, pretendent, petegolone, / insolent e screanzade e maldicent…» [È sporca, è lercia e tabaccona, / indolente, esigente, pettegolona, / insolente e maleducata e maldicente…], «Gran tibidoi, gran remeness / e tirepare e confusion, / un messedum, un diavolezz / e gran dafà…» [Gran trambusto, grande agitazione / e parapiglia e confusione, / un rimescolio, un putiferio / e grande affaccendarsi…], «Botiglierie, sorbezz, teatros, viazz, / birre, pastis, caffè e sigars a sguazz…» [Bottiglieria, sorbetti, teatri, viaggi, / birra, paste, caffè e sigari a profusione…]. Stralci che provano la ricchezza del vocabolario, che non respinge il forestierismo («raglan», sorta di pastrano, dall’inglese), che nelle pretese del bellimbusto e del contadino inurbato, nella supponenza del loro italiano (non senza inflessioni maccheroniche) infila qualche segmento veneto: «Bisogna vel diga…» [Bisogna che ve lo dica…]. Il veneto, specchio di una diglossia in atto, pur se risolto in guizzo comico, si inserisce anche in An d’è di biei [Ce ne sono di belli], con le battute (e la incomunicabilità) di un conte, alla ricerca di un testimone («Digo, me feu vu el favor…» [Dico, mi fate il favore…]), e di un terrazziere, che equivoca («Ben, se la xe contento, / a Udine mi sbrisso e, sul momento, / in quà vignir ghe fazzo mio fradel…» [Bene, se è contento, / a Udine mi precipito e, sul momento, / le faccio venire qua mio fratello…]). La metrica è varia: un sonetto, ottave, quartine di endecasillabi, di ottonari e settenari, seste rime di senari e ottonari, endecasillabi, ottonari e quinari a rima baciata, in uno spettro largo di soluzioni. Ma, se i temi rinviano a Zorutti, di Zorutti non conservano l’astio nei confronti della mobilità sociale. E stemperano l’acredine nei confronti della promiscuità, della gerarchia compromessa, non senza ammicchi maliziosi: «Pauline mi fas propri compassion; / simpri la so parone / d’un continuo i tontone, / ma je si sfoghe almanco cul paron» [Paolina mi fa proprio compassione; / sempre la sua padrona / di continuo la rimbrotta, / ma lei si sfoga almeno con il padrone]. L’ironia morbida è la cifra di S., con la consapevolezza del limite, peraltro topica: «Soi poete senze studi…» [Sono poeta senza studio…], «Buti ju, cussì a la buine / chel che in chiav a mi busine…» [Butto giù, così alla buona / quello che mi ronza in testa…]. S. disegna anche un proprio ritratto, che non scorda la lezione di Zorutti: «sut o soi al par di un len» [magro sono come un legno]; e, con tratto più sbilenco: «hai i zenoi stuarz» [ho le ginocchia storte]. Il sottinteso comico però, il dovere del lazzo, viene meno in Voress cambià mistir [Vorrei cambiare mestiere]: «Fasind il peruchir / o stenti tant a vivi!» [Facendo il parrucchiere / stento tanto a vivere!]. La difficoltà economica è reale. Il «poete peruchir» morì nel civico ospedale di Udine ai primi del febbraio 1879 a cinquantasei anni.

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Bibliografia

Tutte le pubblicazioni dichiarano la paternità di «Pieri Savi clamat Velen». Almanacchi: «Il paruchir poete. Giornal e lunari per l’an 1858», Udine, Stamperia Zavagna, 1857; nell’anno successivo l’editore è Trombetti-Murero. «Giornal e lunari furlan par l’an 1868», Udine, Tip. G. Seitz, 1867, poi «Giornal e lunari par l’an 1869», Udine, Sorelle Vatri, 1868; «Il strolic furlan. Giornale e lunario per l’anno 1870», Milano, G. Agnelli, 1869; «Il strolic furlan. Giornal e lunari par l’an 1871», Milano, Giocondo Messaggi, 1870; per le annate 1872-1877, Udine, Carlo Delle Vedove; «Il strolic straordinari par l’an 1878», e l’anno successivo, Udine, Carlo Delle Vedove per Giuseppe Triva. Raccolte poetiche: Poesiis furlanis, Udine, Stamperia Tonetto, 1854; Il peruchir poete. Poesiis ineditis, Udine, Trombetti-Murero, s.d. [ma 1863]; Poesiis alegris, Udine, Stamparie dal Zovin Friul, 1867. Opuscoli e fogli volanti : In ocasion del vin gnuv. Chiant popolar, Udine, Jacob e Colmegna, 1865; Dialogo fra Zeff e Gaetan a la botteghe di caffè sore l’abolizion dai colaz di Nadal e fujazzis di Pasche proponude da un fornar che no le furlan e altris accessoris, Udine, Sorelle Vatri, s.d. [ma 1868]; Il gran consei chel varà lug a San Denel sott la pressidenze di Pieri Savi clamat Velen, s.l., s.n. [ma Udine, Stamperia Zavagna], 1870; Manifest di Pieri Savi clamat Velen ai siei futurs elettors, s.l., s.n. [ma Udine, Sorelle Vatri], 1870; Discors di Pieri Savi clamat Velen al gran banchett dei artisg la gnott dal 1 fevrar 1872. Cu la zonte di altris argomenz, Udine, Carlo Blasig, 1872; Testament di Pieri Savi clamat Velen, Udine, Carlo Blasig, 1875; Une sere là di Cecchin, Udine, Stamperia Zavagna, s.d.

DBF, 722; L. PILOSIO, Antenati e genitori dell’«Avanti cul brun!», «Avanti cul brun! Lunari di Titute Lalele pal 1959», Udine, Avanti cul brun!… Editor, 1958, 248-249; Z. DI ANTONI [G. NAZZI], La liende dai strolics, «Sot la nape», 37/1 (1985), 29, 41; G. NAZZI, Stampe e difusion dai stroligs tal XIX secul, in Pietro Zorutti e il suo tempo. Atti del convegno di studi (Udine, 8-9 maggio 1992), a cura di R. PELLEGRINI - F. BOSCO - A. DEGANUTTI, San Giovanni al Natisone, Comitato celebrazioni zoruttiane/Le Marasche, 1993, 171.

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