STEFFANEO (DE) NICOLÒ

STEFFANEO (DE) NICOLÒ (1811 - 1890)

poeta, possidente

Nacque a Crauglio di San Vito al Torre (Udine) il 22 aprile 1811 da Giovanni Battista e da Eleonora Polla. La famiglia era agiata, con beni a Crauglio e in altri paesi del Friuli orientale, e trascorreva l’inverno a Udine. Una abitudine che anche i versi documentano: «Son finidis lis vendemis, / son finis anchie i trastui, / quintri Udin lis carozzis / e van fissis come i nui» [Sono finite le vendemmie, / sono finiti anche i divertimenti, / verso Udine le carrozze / vanno fitte come le nuvole]. S., che restò orfano di padre, è autore di un almanacco uscito a Udine per due annate consecutive (1836 e 1837) presso la Stamperia Vendrame (e il cerchio dei destinatari ideali era udinese: «Perdonaimi o udinesis…» [Perdonatemi o udinesi…]). I due opuscoli, che S. non firmò, si collocano di necessità sulla scia di Zorutti, ma la testata dichiara subito una propria cifra: Pronostic sentimental par lis bielis del Friul [Pronostico sentimentale per le belle del Friuli], dove «sentimental» e «bielis» convergono nel definire una chiave e una corda inedita per il genere. Una avventura che S. archiviò ben presto, «per chiudersi in un aristocratico silenzio» (così Faggin, plausibilmente), «per dedicarsi ad attività politiche» (così Billa, meno persuasivamente). La polizia sospettava una convinta opzione irredentista, che sarebbe comunque maturata solo con lo snodo del 1848 e investì S. indirettamente, come riverbero dell’ambito familiare. L’11 gennaio 1854 S. sposò la più giovane Benvenuta Desenibus di Visco, dalla quale ebbe una figlia, Marianna: con questa il casato si estinse. A un altro matrimonio, Vittorio Emanuele di Colloredo con Maria Zucco, si lega, nel 1884, un isolato ritorno metrico, una manciata di quartine che denunciano la condizione del disincanto: «Insidiosa è la speranza / che sull’orme sue ci guida; / sempre è vittima chi a oltranza / alle sue vision si affida». S. si spense per «marasma senile» il 6 novembre 1890. Come da formula canonica, il Pronostic intercala i versi al calendario, rispettando lo stacco richiesto dalle fasi lunari, pur se la previsione meteorologica è sfumata: «Bruz e neris son i nui, / compagnaz d’un batibui…» [Brutte e nere sono le nuvole, / accompagnate da un frastuono…], «O ce chiald! Propri a ’l schiafoe, / no puess propri rezi plui…» [O che caldo! Davvero soffoca, / non posso proprio resistere più…]. La previsione del secondo anno evita la maglia della prosodia per prosciugarsi in note più sbrigative: «Fred» [Freddo], «Nulad» [Nuvoloso], «Sec» [Siccitoso], «Sut» [Asciutto], «Temperad» [Mite], «Umid» [Umido]. La solidarietà con il ritmo delle stagioni è ovvia e, insieme, generica: «Al sarà l’unviar teribil / par chei che patissin fred…» [L’inverno sarà terribile / per quelli che soffrono il freddo…]; e così la promessa, il suggerimento operativo: «Contadins e contadinis / lavorait a rompiquel, / che chest an pajarà ’l fio / la campagne, ’l bosc, il quel…» [Contadini e contadini / lavorate a rotta di collo, / ché questo anno corrisponderà il tributo / la campagna, il bosco, il colle…]. Affiora l’osservazione del costume, non senza richiami al fenomeno inarginabile della moda. ... leggi E non senza debiti nei confronti della letteratura popolare: «Al è un laz il matrimoni / che bessoi metin al quel…» [È un cappio il matrimonio / che da soli mettiamo al collo…], che incrocia il perimetro della villotta; «Se un robe une gialine / dug j bramin la berline, / se un robe un milïon / dug lu stimin galanton» [Se uno ruba una gallina / tutti gli augurano il pubblico ludibrio, / se uno ruba un milione / tutti lo stimano un galantuomo], che raccoglie echi della saggezza proverbiale (o dei suoi disinganni). Non senza contorni acri quando la “laudatio temporis acti”, peraltro topica (con consonanze puntuali in Ermes di Colloredo, in Zorutti), investe il mondo contadino: «Ah! indulà sono i timps dai nestri viei, / quand che ’l paron scuedeve dut il fit, / che ’l contadin copave il so purcit / colm il stalaz di bûs e di vidiei? // Quand che furnid di roze mezelane, / braghessis curtis, zoculis tai pis, / leal cui siei parons, cui siei amis…» [Ah! dove sono i tempi dei nostri vecchi, / quando il padrone riscuoteva l’affitto intero, / quando il contadino macellava il suo maiale / colma la stalla di buoi e di vitelli? // Quando vestito di rozza mezzalana, / braghe corte, zoccoli ai piedi, / leale con i suoi padroni, con i suoi amici…], e il ritratto fisico (il vestiario) e morale (la deferenza, le osterie non frequentate, i modi non violenti in famiglia) si dispiega con stralcio largo, senza indulgenza. Si profilano scorci suggestivi della vita paesana, con le sue sagre («Il brear al è in te vile, / scampanotin lis chiampanis…» [Nel paese c’è il tavolato, / suonano a distesa le campane…]), con lo svago della caccia («Si preparin oseladis, / si bat visc, tae vischiadis, / si fas laz, si tind vergons…» [Si preparano uccellagioni, / si batte vischio, si tagliano paniuzze, / si costruiscono lacci, si tendono panioni…]). Ma è l’universo della natura a imporsi con fotogrammi che svariano, assecondando il procedere delle stagioni, in perfetta e appagata autonomia: «E svole quaquarant intor la zore…» [E intorno vola gracchiando la cornacchia…], con impressività acustica, «O violute palidute / prole chiare d’un biel dì…» [O violetta pallidina / figlia cara di una bella giornata…], con grazia madrigalesca, «Chiale chiale ce che cole, / e vongole, / che m’incee / biel aual la lus dai voi…» [Guarda guarda come scende, / e fluttua, / ché mi acceca / allo stesso tempo la pupilla…], con più esibita cadenza chiabreresca (e zoruttiana). La vibrazione sentimentale è più distesa e accusata nel primo fascicolo, per smorzarsi nel secondo. In avvio e poi in chiusura si dà l’allocutivo plurale («Ves rason, o bielis frutis / di lagnassi dai morös…» [Avete ragione, belle ragazze / di lamentarvi degli innamorati…], «Taponaissi o bielis frutis / in chest fred che al fas oror…» [Copritevi, belle ragazze, / in questo freddo che fa orrore…]), quasi a saldare nella figura dell’anello il corpo mediano, che fa perno su una vicenda più implicata e diretta. Con un ottativo che si ripete: «Se in uciel podess mudami / vignì oress a tormentati…» [Se in uccello potessi trasformarmi / vorrei venire a tormentarti…], «Se podess sei la giatute, / che è l’ogett des tos chiarezzis…» [Se potessi essere la gattina, / che è l’oggetto delle tue carezze…], «Se virtud di trasformami / mi vess dade la nature / […] / spezialmentri oress sechiati, / come pulz increanzad» [Se virtù di trasformarmi / mi avesse dato la natura / […] / specialmente vorrei seccarti, / come pulce screanzata]. Versi dall’ordito fragile, che si avvalgono, a rincalzo, delle potenzialità ricreative di sciarade e indovinelli, poesie «di un candore a volte disarmante», ma di «una limpidità, una misura e un’armonia che ce le rendono amabili» (Faggin). La metrica privilegia – è quasi una sigla – la quartina di ottonari, con rime nelle sedi pari (come nella villotta), con rime alterne o incrociate, pur concedendo spazio anche ad altri schemi (il sonetto, la sesta rima, la canzonetta). Il lessico si apre al prestito: secco («emporio», «entusiasmo», «intemperie») o con leggero adattamento («ilaritad», «prosopopee», «sageze», «frutifere planure», «livide sfortune», «nobile fierezze»). Ma non lesina lemmi di interesse certo: «fraile», signorina, «polesin», paradiso terrestre, «proviant», provvista, vettovaglia, «urbaris», registri contabili, con rinvio specifico all’area goriziana. S. è ricordato da Pilosio, ma con giudizio riduttivo: «non era scrittore che avesse il dono della grande poesia e nemmeno quello della poesia minore». Altra è per contro la disponibilità di Faggin: «compose i due almanacchi in giovane età, agganciandosi allo Zorutti quasi soltanto per il materiale lessicale e il tipo di friulano letterario (bene assimilati dall’allievo)», perché diversa è la sua tematica e diverso il suo stile: «Il tono è aristocratico, blandamente epicureo, legato al mondo del melodramma e alla melanconica ‘mediocritas’ del ‘Biedermeier’ austriaco».

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Bibliografia

Pronostic sentimental par lis bielis del Friul. Lunari par l’an 1836, Udine, Vendrame, 1835; stessa testata e stesse indicazioni tipografiche per l’anno successivo; Pel Faustissimo Connubio Conte Vittorio Emanuele dei Marchesi di Colloredo e Maria Contessa Zucco, Udine, Premiata litografia E. Passero, 1884.

DBF, 765; E. BOEHMER, Verzeichniss Rätoromanisces Literatur, II. Friaul, «Romanische Studien», 6 (1885), 190; L. PILOSIO, Antenati e genitori dell’«Avanti cul brun!», «Avanti cul brun! Lunari di Titute Lalele pal 1959», Udine, Avanti cul brun!… Editor, 1958, 231-232; G. FAGGIN, Alla scoperta di un poeta friulano dell’800: Nicolò de Steffaneo, «La Panarie», n.s., 5/3-4 (1972), 7-17; PELLEGRINI, Tra lingua e letteratura, 258-259; E. BILLA, Il poeta friulano Nicolò de Steffaneo e la sua famiglia a cent’anni dalla scomparsa, «Alsa. Rivista storica della bassa friulana orientale», 5 (1992), 3-9; FAGGIN, Letteratura, 121-122.

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