ZARDINI ERMETE

ZARDINI ERMETE (1868 - 1940)

pittore, poeta

Immagine del soggetto

Autoritratto, olio su legno di Ermete Zardini, 1933 (Gorizia, Musei Provinciali).

Nacque a Cormons (Gorizia) da Giuseppe e da Rosa Marchiolli, maestra elementare, il 21 agosto 1868. Il padre, podestà dal 1875 al 1878, possedeva un negozio di ceramiche, ma nel 1878 morì e la madre traslocò a Udine. Z. frequentò a Lubiana un istituto commerciale. La madre contrastava la sua passione per la pittura, ma Z. a Trieste praticò lo studio di Veruda e poi espose a Venezia, Udine, Pola. Rientrato a Cormons, avviò un piccolo banco di cambio, diresse la filiale della Banca commerciale, infine si associò alla moglie nella gestione di un negozio di alimentari. Dopo la guerra, che comunque lo coinvolse, si dedicò esclusivamente alla pittura, privilegiando come soggetti Cormons e i suoi dintorni, ma anche la cornice meno domestica della Carnia, dipinti «caratterizzati da una pastosa e vibratile materia pittorica» (Faggin). I disegni, una sessantina, costituiscono una testimonianza preziosa della vicenda urbanistica di Cormons e dei suoi modi di vita. Una esistenza consumata tra la pittura, la scrittura, la musica (suonava il violino), nel cerchio affiatato di un gruppo di amici. Colpito da emiplagia, Z. morì il 6 agosto 1940. È del 1926, con lo pseudonimo Tite Robul, Un pôs di ratàis in furlan cormonês [Qualche scampolo in friulano cormonese], tre anni dopo è il «Ce fastu?» a ospitare una manciata di versi, ma il corpus largo, dopo questi anticipi, resterà inedito, spia di un atteggiamento dell’autore, del suo appagato esaurirsi nel perimetro locale. Nel 1958 Dolfo Zorzut segnala (e usa) un manoscritto, al quale nel 1982 attinge Eraldo Sgubin. ... leggi Lo stesso Sgubin nel 1994 cura una edizione conveniente, articolandola in comparti tematici, con il corredo di un apparato illustrativo e dei «pipins» [disegni] che Gil (Gilfredo, poi Fred) Pittino, ventenne, nel 1926 aveva predisposto per Un pôs di ratàis. Di Z. sono stati enfatizzati i limiti: «i suoi versi zoppi, dalle rime non sempre a posto», il «sostanziale dilettantismo», con qualche credito «per il suo carattere estroverso, non cerebrale», per il «succoso vernacolarismo» (Faggin). E, forse più equanime, a riassumerne la fisionomia: «autore di versi ora affettuosi, ora scherzosi e conviviali, fu figura a suo modo singolare per la ricchezza di spirito e la varietà delle sue espressioni artistiche», «la lettura, oltre che gradevole, risulta utile anche ad illuminare di riflesso ambienti, persone, situazioni, modi di vita» del suo tempo (Ciceri). Z. predilige lo schema delle tre quartine di ottonari a rima alterna con, in punta, un distico a rima baciata, sede canonica del guizzo, del commento pungente o scanzonato. Z. incide le macchiette di Cormons, di cui esplora le usanze. Come la Pasqua «su la Mont» [il Monte Quarin], con l’inevitabile profusione di cibi: «Jù gubànis e rabuèle, / jù fujàzze e mortadèle / ’l è sigûr che mange ognùn…» [Giù gubane e ribolla, / giù focaccia e mortadella / è sicuro che tutti mangiano…]. La lista di cibi, il dispositivo del catalogo stralunato («Vin li magnis ’za spelàdis, / duc’ i mucs saràn salâz / e li savis marinadis…» [Abbiamo i serpenti già spellati, / tutti gli ululoni saranno salati / e i rospi marinati…]) evoca moduli di comicità collaudata: anche il burlesco di Zorutti. Ma altre sono le ragioni di interesse di Z., come la sua capacità di cogliere il frenetico mutare del costume, l’evolversi inconsulto delle arti, l’imporsi di forme nuove di intrattenimento, di balli e di sport respinti, ma allo stesso tempo documentati, con conseguenze palpabili per la lingua, investita dai prestiti: dai più scontati «abasur» [paralume] e «promenàd» [passeggiata], da «auto» o «otomobil» [automobile] a «rioplano» [aeroplano], da «il box» o «bocs» [pugilato] a «foot-bal» [calcio] e «goal» [rete], ma anche «flirte» [flirta], che l’italiano annette a fine Ottocento, e i più indiavolati «giez bant» [jazz band], «chiche-gome» [chewing gum], lo «sgurli yo-yo» [trottola yo-yo]. Con sordità secche per il nuovo, con un rifiuto sarcastico delle nudità richieste dalla moda («Dut ’l è curt! Dio mal perdòni! / Curt ’l è pûr il comprendòni!» [Tutto è corto! Dio me lo perdoni! / Corto è anche il comprendonio!]), con parodie velenose dei nuovi balli (il tango: «Il balarìn indurmidît / ogni tant ’l è in zenoglòn / al si drezze s’un t’un pît / al si ten a pendolòn…» [Il ballerino addormentato / ogni tanto è in ginocchio / si rialza su un piede / si tiene a penzoloni…]), con interi componimenti innervati sul forestierismo («La ‘Pigiame’ je pal siôr / e pa siore ’l ‘Combinè’ / la frutate non va atôr / se no in ‘Golf’ o ‘Neglisè’…» [Il “pigiama” è per il signore / e per la signora la “sottoveste” / la ragazza non si muove / se non in “maglione” o “vestaglia da camera”…]). Pur nel filtro di un moralismo a volte acre, un archivio di notizie, di fotogrammi, che troverebbero grande vantaggio in una cronologia sicura dei testi. Ma un archivio anche per la lingua. Z. registra sintagmi come «timp mutriz» [tempo umido], lemmi come «crump» [storto], dal tedesco “krumm”: «crump o zuèt» [storto o zoppo], non incluso nei repertori, «tabiòn» [pestone]. L’amore per la parlata materna detta quattro lezioni di Furlan arût [Friulano schietto], intessute di termini sciolti dalla sintassi, aggregati dal solo collante metrico: «Si dîs vernàdi e soreâl, / burî fûr e tabiâ, / sclauezànt e ciavedâl, / sdarpetâ e baliâ. // Si dîs la brût e il tapòn…» [Si dice invernale e saggina, / scovare e calpestare, / procedendo a zig zag e alare, / scalpicciare e andare avanti e indietro. // Si dice la nuora e il coperchio…]. Z. sfrutta le risorse della lingua recuperando modi di dire, imprecazioni, il codice speciale usato con i bambini, si esercita in giochi allitterativi («Un sclip / tal clip / un bon bombòn…» [Un goccio / nel tiepido / un buon bonbon…]), in controcanti della Vispa Teresa, del Prode Anselmo, nelle miscele maccheroniche («Tutti pesseano sfolmenati, / e àn tirato fuori sfilzade, capotoni / fazoletti e pezotati / sbrendoli cragnosi e a boconi…» [Tutti si affrettano forsennati, / e hanno tirato fuori coperte, cappottoni / fazzoletti e stracci / cenci luridi e a brandelli…]), miscele che hanno il loro paradigma in Zorutti, ma che in Z. trovano stringenti motivazioni nella attualità, nei rapporti (va da sé censurati) di ragazze e militari italiani («‘Dica un po’: à già cenato?’ / ‘Oh! Un pirone di ardelutto, / zezaroni col pestato…’» [“Dica un po’: ha già cenato?” / “Oh! Una forchettata di valerianella, / piselli con il pesto di lardo…”]). Ma dopo tanta giocosa baldanza, dopo tanto “morbìn”, si profila il declino: «Soi vecio, avilît disgustât, / la int mi fâs fastidi…» [Sono vecchio, avvilito, disgustato, / la gente mi dà fastidio…], «No pues durmî e intrunît / ’o jevi, mi viest e ciali la nêf difûr; / il mont par me mi pâr finît…» [Non riesco a dormire e stordito / mi alzo, mi vesto e guardo la neve fuori; / il mondo per me mi sembra finito…]. Un bilancio non solare, fatta però salva la nicchia dell’arte: «e la viste dai colôrs, / da vernîs ambrade, / da tele preparade, / mi disglude i dolôrs / e dut il passât…» [e la vista dei colori, / della vernice ambrata, / della tela preparata, / mi cancella i dolori / e tutto il passato…].

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Bibliografia

Un pôs di ratàis in furlan cormonês, Cormons, Stamparie Moretti & Facini, 1926 (ristampa anastatica, Cormons, Tip. San Marco, 1957); E. SGUBIN, Pinsîrs e peraulis. Antologia friulana cormonese, Cormons, Comune di Cormons, 1982, 46-87; Vôs poetiche di un timp, di une tiare, di une int, a cura di ID., Cormons, Comune di Cormons/SFF, 1994.

DBF, 862; D. ZORZUT, Tre poez Cormonês: Ermete Zardini, Alfonso Deperis, ’Sef Pieri Collodi, Cormons, Poligrafiche San Marco, 1957, 13-26; E. SGUBIN, Paesaggi cormonesi di Ermete Zardini, «Sot la nape», 21/1-2 (1969), 37-43; Mezzo secolo di cultura, 286; E. SGUBIN, Un secolo di poesia e di prosa in lingua friulana a Cormòns, in Cormons, 217-224; ID., Lingua e letteratura friulane nel Goriziano, in Marian, 586-588; ID., Ermete Zardini, 1868-1940, «Sot la nape», 45/4 (1993), 117-121; A. CI[CERI], Recensione a Vôs poetiche di un timp, «Sot la nape», 46/4 (1994), 165; G. FAGGIN, Recensione a Vôs poetiche di un timp, «Studi Goriziani», 80 (luglio-dicembre 1994), 149-150; GALLAROTTI, 133-134; FAGGIN, Letteratura, 164, 184-185.

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