CUCAGNA (DI) FRANCESCO

CUCAGNA (DI) FRANCESCO (1584 - ?)

magistrato, poeta

Immagine del soggetto

Sopraporta della seconda metà  del Settecento raffigurante i castelli di Zucco e Cucagna con gli stemmi delle due famiglie (collezione privata).

Di nobile famiglia, F. nacque a Udine nel 1584 e fu battezzato il 24 agosto. Magistrato, dal 1616 sostenne pubblici uffici: nel 1619 fu uno dei calcolatori del comune, nel 1620 uno degli astanti (così un appunto di Vincenzo Joppi nel manoscritto 435 del fondo Joppi della Biblioteca comunale di Udine). Aderì alla cosiddetta Brigata udinese con lo pseudonimo di “Ritur” e il manoscritto 575/b del fondo Joppi della Biblioteca comunale di Udine («tutto di mano di Paolo Fistulario», Comelli), Compositions in furlan di trops queiettis par man di Turus, che della Brigata fornisce un quadro a suo modo ufficiale, ne propone diciassette sonetti (più uno in collaborazione con l’avvocato Paolo Fistulario “Turus”), quattro canzoni e due madrigali. Lo pseudonimo bizzarro dichiara l’orizzonte della Brigata, la sua interpretazione della ricerca del nuovo, tipica del secolo, e le rime di corrispondenza documentano il gruppo coeso, la compattezza serrata e autoreferenziale, dove l’inezia, l’aneddoto minuto, il piccolo progresso di carriera trovano una sorta di riscatto nel complimento cerimonioso, nella piccola (o insistita e plateale) astuzia retorica. Come in Di Ritur legrantsi chun Ruptum [Di Ritur che si rallegra con Ruptum], che è Plutarco Sporeno, nominato pastore d’anime: «M’indaleegri, Ruptum, chun dut lu cuur / chu tu seiis fat pastoor d’un mont di iint / e, sì ch’ognun di noo legrezze sint, / cussì rincres al re dal regnam scuur […]» [Mi rallegro, Ruptum, con tutto il cuore che sei diventato pastore di un mondo di gente e, come ognuno di noi sente allegrezza, così rincresce al re del regno oscuro (…)], dove agiscono in sordina le figure di ripetizione («M’indaleegri… legrezze…», «re… regnam…»). O come in La legrezze di Ritur vidint Turus [La felicità di Ritur nel vedere Turus]: «No croot chu taal legrezze ves imbuut / un uccilut svolant iù dal vergon, / n’un par gratie lassaat fuur di prison, / ni la mari chiattant lu fii piarduut […]» [Non credo che tale felicità avrebbe avuto un uccellino volando via dal panione, né uno per grazia rilasciato dalla prigione, né la madre nel ritrovare il figlio perduto (…)], dove l’artificio del catalogo si dilata fino a coprire i diciassette versi del sonetto caudato. ... leggi L’esercizio accademico riconosce ruolo di rilievo alla poesia amorosa, che non è nicchia di emozioni, di introversione, ma luogo deputato alla ricerca del nuovo, dell’angolo visuale insolito, come in Di Ritur sore la schiratte de s[o] m[adresse] [Di Ritur sopra la scoiattola della sua innamorata]: «O quante invidie o puarti a chee schiatte / chu sta simpri chun tee in compagnie / ni di fuii ii ven mai fantasie / de too chidenne restant soddisfatte […] // Ma di chest plui mi duul, chu di mangiaa / chu la to man tu ii daas ogni dì / e al fin iè si no buine di zuiaa. // E io chu d’altri pues sirv’ anchi’ a ti / in vitte mee starai simpri a lutaa / par un chialart chu vigni si no a mi» [O quanta invidia porto a quella scoiattola che sta sempre con te in compagnia, né di fuggire le viene mai fantasia, restando soddisfatta della tua catena (…). Ma di questo più mi rincresce, che da mangiare con la tua mano tu le dai ogni giorno e in fondo non è capace che di giocare. E io che di altro posso servire anche te in vita mia starò sempre a smaniare per uno sguardo che giunga a me soltanto]. Dove in punta occhieggia un filo di malizia, con «lutaa», che ha qui la sua prima attestazione friulana, in piena evidenza: lottare, agognare, nel caso forse meglio smaniare. Ma importa la prospettiva senza precedenti, ragione dunque di “meraviglia”, la scoiattola (indizio di un costume, di una moda) che fa il suo ingresso nella lirica amorosa: non additivo comico, ma prodotto (e prova) di ingegnosità, di acutezza. La lirica amorosa ad ogni modo si distende anche nel respiro breve del madrigale, felicemente e largamente praticato nel Seicento, ma con scarse fortune in friulano: emerge in Eusebio Stella, ma non in Ermes di Colloredo, spia forse di un rango sociolinguistico che non ne ammette la presenza negli intrattenimenti mondani, dove parola, musica e voce si amalgamano e catalizzano. Torna perciò opportuno saggiare: «Dumble, s’io uus puarti amoor / al lu sa chel signor / chu de vuestre beltaat / mi ten inchiadennaat / in muut tal ch’io no pues / disleami si ben anchi’ io voles / e, s’io no ’l vuei bramaa (?), / parcè donchie mi faiso suspiraa?» [Signora, se io vi porto amore lo sa quel signore che alla vostra beltà mi tiene incatenato in modo tale che io non posso slegarmi e, se io non lo voglio volere, perché mi fate sospirare?]. Un garbo salottiero, non senza qualche stento. Ma mette conto insistere su un virtuosismo oggettivamente misurabile. E oggettivamente misurabile è l’oltranza formale, la tensione retorica, come nel caso estremo (che pure ha lontana autorizzazione petrarchesca) di: «Vulint daa timp al timp, noo piardìn timp / e di dì in dì vignìn simpri plui viei, / e no zovarà quant ch’o sarìn viei / a maladii dulintsi ’l nuestri timp. // Chumò ch’o no sin vieii e ch’o vin timp / din cause di vignii loldaaz di viei […]» [Volendo dare tempo al tempo noi perdiamo tempo e di giorno in giorno diventiamo sempre più vecchi e non gioverà quando saremo vecchi maledire dolendoci il nostro tempo. Ora che non siamo vecchi e che abbiamo tempo diamo la causa di venire lodati da vecchi (…)]. Con la rima che martella ossessiva su tempo e vecchiaia: una acrobazia. Ma il tempo precipite è un bordone dolente che attraversa la poesia e marca la sensibilità del secolo, la sua psicologia friabile, la sua insicurezza, la sua percezione della solitudine e della fine che incombe: la sua modernità.

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Bibliografia

Mss BCU, Joppi, 575/b, Compositions in furlan di trops queiettis par man di Turus; Ibid., Joppi, 435; Ibid., Principale, 346, Rime friulane del secolo XVII (copia di J. Pirona).

G. MARCHETTI, Gli pseudonimi sibillini della «Brigata udinese», «Sot la nape», 13 (1961), 3, 43-44; G. COMELLI, Il canzoniere friulano Joppi 575b, «Ce fastu?», 24-25 (1948-1949), 37-49; PELLEGRINI, Tra lingua e letteratura, 169-177.

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