NIEVO IPPOLITO

NIEVO IPPOLITO (1831 - 1861)

poeta, romanziere, scrittore, garibaldino

Immagine del soggetto

Lo scrittore Ippolito Nievo in divisa di colonnello dei garibaldini, Palermo 1961 (Roma, Fondazione Ippolito e Stanislao Nievo, Fondo Famiglia Nievo).

Nacque a Padova il 30 novembre 1831, primogenito di Antonio, nobile mantovano, magistrato di idee liberali, e di Adele Marin, figlia del patrizio veneziano Carlo e della contessa Ippolita di Colloredo, discendente dei Colloredo di Montalbano ed erede di parte del castello medievale e dei fondi annessi. Fu battezzato Ippolito Carlo Giovanni Battista Andrea Leopodo Maria. Nel 1832 il padre fu promosso cancelliere presso la pretura di Soave, dove N. rimase con la famiglia per cinque anni durante i quali nacquero i suoi fratelli Ippolito Luigi, morto a due anni, e Carlo, che partecipò alla seconda guerra d’indipendenza come ufficiale d’artiglieria, continuando poi nella carriera militare sino al grado di generale. Nel 1837 il padre si trasferì a Udine dove il 27 dicembre prese servizio come pretore aggiunto. I Nievo abitarono dapprima in via Mercatovecchio, poi in via S. Lucia (oggi via Mazzini). A Udine nacquero Elisabetta, Marianna detta Elisa, e Alessandro, pure combattente nella seconda guerra d’indipendenza e in seguito ingegnere, e Ippolito compì gli studi elementari sotto la guida di un sacerdote, don Luciano. Durante la permanenza in Friuli, i Nievo ebbero frequentazione con i Florio, i di Prampero, i Caimo-Dragoni, i Mattioli, i Giavedoni, questi ultimi amministratori del castello di Colloredo che i Nievo visitarono frequentemente. Nel 1840 N. entrò come convittore pagante nel collegio del Seminario vescovile di Verona e fu iscritto, con un anno di anticipo sull’età normale, al Ginnasio di S. Anastasia che frequentò fino al 1847 come esterno dopo aver lasciato il collegio per insofferenza del clima oppressivo e formalistico. A Verona N. mantenne affettuosi legami col nonno Carlo, intendente di finanza in quella città, testimone (era stato patrizio votante nel Maggior Consiglio della Repubblica) della fine della Serenissima; a lui furono dedicate le prime esercitazioni letterarie di N. (i Poetici componimenti fatti l’anno 1846-47), da lui prese il nome Carlo Altoviti, protagonista delle Confessioni di un italiano. ... leggi Sino al 1844 la famiglia rimase in Friuli, dove Ippolito la raggiungeva durante le vacanze; in seguito il padre fu pretore a Sabbioneta e i Nievo fecero ritorno a Mantova (possedevano anche una villa e dei fondi a Fossato di Rodigo); con loro anche il nonno Carlo. Nell’agosto del 1847 N. superò gli esami di fine corso e rientrò a Mantova; il 4 novembre s’iscrisse al Liceo, dove strinse amicizia con Attilio Magri. Nel marzo del 1848 anche a Mantova scoppiarono i moti insurrezionali; incerta è la partecipazione di N.; certamente vi fu compromesso suo padre. Essendo stato chiuso il liceo, con l’amico Attilio continuò lo studio in una scuola privata di Revere e concluse l’anno scolastico a Cremona il 25 luglio, giorno della battaglia di Custoza. Rientrato a Mantova, a dicembre, ospite durante le vacanze di Natale di Attilio, fu presentato alla famiglia di Orsolina Ferrari che questi corteggiava e conobbe la sorella maggiore Matilde, della quale si innamorò. Nel 1849, con un viaggio clandestino, si recò dapprima a Firenze e quindi, il 5 marzo, a Pisa, per proseguire gli studi presso l’Università, ancora aperta (venne chiusa in maggio). Pare che a mandarlo in Toscana, rifugio di molti profughi lombardi e veneti, fosse il padre, al fine di distoglierlo dal progetto di raggiungere Venezia assediata. A Pisa N. fece amicizia con Andrea Cassa, «l’amico della rivoluzione» e, già aderente al programma democratico e ammiratore di Mazzini e Cattaneo, fu attratto dal radicalismo di Guerrazzi; alla caduta del dittatore, abbandonato il progetto di riparare in Corsica, molto verosimilmente partecipò ai moti di Livorno del 10 e 11 maggio contro gli austriaci intervenuti per favorire il ritorno del Granduca. A settembre fece rientro a Mantova; ripresi gli studi a Revere, nell’agosto del 1850 ottenne a pieni voti la licenza liceale presso l’imperial regio Liceo di Cremona e si iscrisse al primo anno del corso politico-legale dell’Università di Pavia, senza obbligo di frequenza (l’Università di Padova era tenuta chiusa dal governo austriaco per il timore di manifestazioni studentesche). Intanto, ad iniziare dal febbraio di quell’anno e nell’arco di nove mesi, indirizzò a Matilde settanta lettere nelle quali il sentimento amoroso è filtrato attraverso le formule e i toni della letteratura sentimentale, quasi un romanzo epistolare modellato sulle Ultime lettere di Jacopo Ortis di Foscolo e sulla Nouvelle Heloïse di Rousseau. N. già aveva al suo attivo vaste letture: oltre ai citati, Leopardi, Byron, Manzoni, Voltaire, Balzac, Sand, J. Fenimore Cooper, Goethe, Poe, Mazzini, Giusti, Parini, Sterne; nel 1850 lesse Chateaubriand, Lamartine, Sue e la Physiologie du mariage di Balzac, il libro che all’inizio di ottobre inviò a Matilde segnando di fatto la fine del loro rapporto. Nei mesi di agosto e settembre si recò con la madre e i fratelli a Venezia, per condurre Elisa, di ritorno dal Friuli con gli zii Marin, in collegio a Padova; alla fine di settembre il padre venne mandato in Friuli come Consigliere (di fatto, una rimozione e un declassamento); in ottobre N. fu con Attilio a Udine, a Colloredo, e per due giorni in Carnia. Il 21 inviò a Matilde due suoi schizzi del castello di Colloredo: fu l’ultima lettera che le scrisse. Il 4 gennaio 1851 l’anagrafe comunale di Colloredo registrò la prima residenza di N. nel castello; in aprile, terminò l’Antiafrodisiaco per l’amor platonico, racconto satirico dettato dal risentimento verso Matilde, rappresentata come la lasciva e ipocrita Morosina (riconobbe più tardi di averlo scritto «sotto l’impressione di avvenimenti spiacevoli e di rabbie puerili») e lo lasciò manoscritto (fu pubblicato soltanto nel 1956) ed ebbe una relazione con una tale Angela. Contemporaneamente N. scrisse anche Il Pipistrello, una satira che lasciò incompiuta. Iscrittosi al secondo anno di corso a Pavia, in agosto sostenne gli esami di statistica generale degli Stati d’Europa e particolare dell’Austria e quello di diritto privato, pubblico e criminale. In settembre raggiunse il padre in Friuli, soggiornando a Udine e a Colloredo e compiendo diversi viaggi in regione. Gli ultimi mesi del 1851 furono un periodo di «melanconico rimorso» e di rinnovato impegno nello studio del diritto romano e del diritto canonico. Il 31 gennaio 1852 esordì come pubblicista su «La Sferza» di Brescia con una lettera di protesta contro le posizioni antisemite del giornale e del suo direttore Angelo Mazzoldi; fu questo lo spunto ispirativo del dramma Emanuele, sui diritti da concedersi agli ebrei. Non fu pubblicato invece il poemetto L’Umanità, inviato col titolo Il crepuscolo all’omonima rivista milanese diretta da Carlo Tenca. Nel mese di giugno morì il nonno Carlo Marin. Sostenuti in luglio gli esami a Pavia, al ritorno da un viaggio a Klagenfurt, Lubiana, e Trieste si fermò in Friuli, a Udine presso il padre (che fu poco dopo raggiunto dall’intera famiglia) e a Teglio presso gli zii. A ottobre si iscrisse ai corsi di giurisprudenza presso la riaperta Università di Padova, con obbligo di frequenza. A gennaio e febbraio del 1853 su «La Sferza» comparvero due suoi articoli in difesa degli studenti padovani, in polemica col direttore; a giugno rivide Fanny, una giovane frequentata a Pisa; negli anni padovani ebbe anche altre relazioni sentimentali. Durante l’estate fu a Brescia, Padova, Venezia, Caorle, Udine e Colloredo, preparando nel contempo ben quattro esami sostenuti il 15 agosto a Padova, e a settembre era di nuovo a Colloredo. A ottobre tornò a Padova per i corsi di diritto e a novembre, con il poemetto Centomila poeti, iniziò la sua collaborazione con «L’alchimista friulano»; i componimenti comparsi sul settimanale udinese diretto da Camillo Giussani furono pubblicati in volume a Udine, dall’editore Vendrame, nel maggio 1854 col titolo di Versi; un’altra raccolta con lo stesso titolo comparve nel 1855; i primi, sul modello del Giusti, ebbero tiepida accoglienza da parte di Carlo Tenca, su consiglio del quale, nei secondi, N. si dedicò a una lirica più intima e personale, rimediando solo in parte ai difetti linguistici e formali. Il 6 aprile fu rappresentato al Teatro de’ Concordi di Padova Gli ultimi giorni di Galileo Galilei, dramma in cinque atti, che ebbe accoglienza assai fredda; trascorso un periodo festivo a Colloredo, tornò a Padova e di qui a Mantova (in «diserzione permanente delle regioni universitarie» onde evitare il rischio della coscrizione per la guerra di Crimea). Il 2 luglio avviò la nuova serie, e la nuova maniera poetica sulle pagine de «L’alchimista friulano», dove tra luglio e agosto pubblicò a puntate anche gli Studii sulla poesia civile e popolare massimamente in Italia, subito editi in volume da Vendrame, e il racconto Un capitolo di storia, inaugurale della sua narrativa, scritto durante un soggiorno di studio a Pellestrina (di cui N. tenne un diario pubblicato in seguito come Il giornale di Pellestrina). Negli Studii, N. indicò Dante, Alfieri, Parini, Foscolo, Manzoni e Giusti come i modelli di una poesia civile, popolare per ispirazione, ma non – come auspicava Francesco Dall’Ongaro – per destinazione: forniti dal popolo i temi, il materiale linguistico, i dialetti (introdotti «con prudente pratica»), proposti però alle «classi agiate» per mediazione del poeta colto. Sostenuti in agosto gli esami di diritto mercantile e di procedura civile, a settembre N. fu a Castelfranco, ospite di Arnaldo Fusinato con cui era entrato in corrispondenza, accogliendolo poi a sua volta a Colloredo. In Friuli si trattenne sino a metà novembre, frequentando Francesco Verzegnassi, Teobaldo Ciconi, Pietro Zorutti, e facendo visita allo zio di Teglio e ai parenti Mainardi di Gorizzo. Il 10 dicembre fu sequestrato il numero de «L’alchimista friulano» su cui apparivano alcuni versi di N. sulla Beatrice Cenci di Guerrazzi. Nel 1855, mentre su «L’alchimista» uscivano con regolarità i componimenti della serie Poesia d’un anima – Brani del giornale d’un poeta pubblicati da Ippolito Nievo, N. aderì all’iniziativa di Luigi Boldrini per fondare «La lucciola», un nuovo giornale sui problemi economici e sociali del contado mantovano ma, tardando l’avvio dell’impresa, accolse l’invito a collaborare al settimanale milanese «Il Caffè» di Vincenzo De Castro, su cui pubblicò, a cominciare da La nebulosa, i carmi raccolti in volume nel 1857 col titolo di Lucciole e tenne per qualche tempo una rubrica di Corrispondenza da Mantova. In primavera, amareggiato dalla situazione politica (a Mantova era in corso il processo a Pier Fortunato Calvi, giustiziato il 4 luglio), si ritirò a Fossato di Rodigo, ove concepì l’idea delle novelle campagnole e dei romanzi Angelo di Bontà e Il conte pecorajo; a quest’ultimo lavorò alternando la scrittura allo studio per gli esami che sostenne ad aprile e a maggio, mentre alle sue collaborazioni giornalistiche s’aggiunse quella a «La lucciola» e a varie testate di Mantova, Padova, Venezia e Torino. Interrotta la stesura del Conte pecorajo, lavorò speditamente ad Angelo di bontà (nel frattempo sostenendo gli ultimi esami di diritto e seguendo l’attività di bachicoltura impiantata dalla madre a Fossato, mentre infuriava l’epidemia di colera di cui in luglio fu vittima il padre di Fusinato); ad agosto il romanzo era ultimato e a settembre N. ne sottopose il manoscritto a Fusinato; si dedicò poi alla composizione (incompiuta) di un libretto ricavato da Consuelo di George Sand e della commedia Pindaro Pulcinella. A novembre si laureò a Padova dottore in utroque e nello stesso mese la sua famiglia si trasferì definitivamente a Udine, in borgo S. Bartolomio, dove N. la raggiunse alla fine di dicembre. Venivano intanto pubblicate le prime due delle sette novelle campagnole: La nostra famiglia di campagna su «La Lucciola» e La santa di Arra, ambientata in Friuli durante il colera, su «Il Caffè». I modelli della narrativa rusticale di N. erano i Racconti semplici di Giulio Carcano, alcune novelle di Caterina Percoto e Francesco Dall’Ongaro, ma soprattutto, come anche per quelli, i “romans champêtres” di George Sand. A comporre il Novelliere campagnuolo (che fu pubblicato soltanto nel 1956 da Einaudi, a cura di I. De Luca) vennero poi, nel giro di un anno, La pazza del Segrino, Il Varmo e il “ciclo del Carlone” costituito da Il milione del bifolco, L’Avvocatino e La viola di San Sebastiano. Venuta a cessare la collaborazione con «L’alchimista friulano», troppo accomodante con le autorità austriache, N. passò al settimanale «L’annotatore friulano», fondato e diretto da Pacifico Valussi, su cui, in otto puntate a partire dal marzo 1856, pubblicò Il Varmo. Il racconto, ambientato in Friuli, per molti aspetti fu preludio ai primi capitoli delle Confessioni di un italiano: in particolare, l’idillio puerile tra la Favitta e lo Sgricciolo preannunciava quello tra la Pisana e Carlino. La pazza del Segrino invece fu rifiutato e rimase inedito fino al 1859, mentre L’Avvocatino, uscito nel mese di aprile sul milanese «Panorama universale», costò a N. (che assunse il patrocinio di se stesso) un processo per vilipendio all’imperial regia gendarmeria di Vienna; La viola di San Sebastiano fu scritta anche per rimediare al precedente incriminato racconto. Anche per le udienze fu spesso a Milano, dove N. frequentò Bice (Beatrice) Melzi d’Eril, moglie di Carlo Gobio, di cui era innamorato. Gobio era cugino primo di N. per parte di padre, Bice nipote di Francesco Melzi d’Eril, vicepresidente della Repubblica italiana in epoca napoleonica. N. li frequentò spesso anche nella loro villa di Bellagio. Altre novelle campagnole – I fondatori di Treppo, La pieve di Rosa, La figlia della Madonna, L’aratro e il telaio – rimasero allo stato di frammenti incompiuti. Nel mese di giugno fu pubblicato dall’editore milanese Oliva Angelo di bontà, romanzo storico sulla decadenza di Venezia; a Udine, presso Vendrame, uscì una piccola raccolta di versi, Le nuvole d’oro – Note d’amore, verosimilmente ispirati a Bice, poi confluiti nelle Lucciole. Durante l’estate fu ospite degli zii Marin a Teglio; trascorse a Grado un paio di settimane, poi evocate nel racconto Le maghe di Grado; ancora fu a Udine e Gorizzo; a settembre a Castelfranco, presso l’amico Fusinato, di recente sposatosi con Erminia Fuà (cui si dovette la prima edizione delle Confessioni) e nuovamente a Udine, dove scrisse i primi Bozzetti veneziani, pubblicati sul giornale satirico veneziano «Quel che si vede e quel che non si vede», e riprese a lavorare al Conte pecorajo. In ottobre accolse a Colloredo gli sposi Fusinato; a dicembre l’amico Attilio Magri sposò Luigia Cremonesi e al loro matrimonio N. dedicò il carme All’amico nella vigilia delle nozze. Non potendo abbandonare la residenza legale mentre era in corso il citato processo, N. restò a Colloredo e vi portò a compimento il suo secondo romanzo, per la cui pubblicazione nel febbraio del 1857 stipulò un contratto con l’editore Vallardi. Nei primi mesi dell’anno scrisse altri carmi nuziali, tra cui quello per Pisana di Prampero andata sposa a Luigi Chiozza, la commedia Le invasioni moderne, che affidò per la rappresentazione a Pietro Zorutti e che in marzo inviò, con un’altra sua precedente, I beffeggiatori, al concorso bandito dall’Istituto filarmonico-drammatico di Padova, ottenendo una “menzione onorevole”. Mentre il processo si trascinava di grado in grado, iniziò a scrivere Le disgrazie del numero due, primo abbozzo del Barone di Nicastro, portato a termine nel 1859. Sempre più intensa mantenne l’attività pubblicistica, anche su riviste femminile quali «La Ricamatrice» e «Le ore casalinghe» dell’amico Alessandro Lampugnani. Raggiunta la madre a Mantova, incaricò gli amici friulani di procurargli le foto di alcuni dei luoghi descritti nel Conte pecorajo, e durante l’estate scrisse la tragedia I capuani, sulla rivolta degli abitanti di Capua contro Roma, e si dedicò alla lettura – Rajberti, Il viaggio di un ignorante, e Heine, De la France – infastidito dai terribili nipotini di Como, venuti in visita con la zia Alcestina. In agosto fu nuovamente in Friuli, dove corresse le bozze del Conte pecorajo, impostò la raccolta delle Lucciole e scrisse una seconda tragedia, Spartaco, sulla celebre rivolta servile. Tra i vari svaghi friulani, trascorse una singolare «serata magnetica» a Fagagna, presso i Pecile. A novembre si recò a Milano per il dibattimento del processo, in cui si difese da solo; a fine mese uscì Il conte pecorajo. Romanzo ambientato nel Friuli feudale e destinato, nelle intenzioni dell’autore, a diventare libro di lettura dei contadini, Il conte pecorajo risolveva le istanze sociali delle classi subalterne secondo il cliché delle buone virtù interclassiste di manzoniana memoria, ma al tempo stesso preannunciava il superamento dei limiti della letteratura rusticale e l’imminente distacco da Manzoni. A dicembre N. tornò a Milano e vi si stabilì, collaborando al «Pungolo» (firmandosi Dulcamara) e, alla soppressione di quello, all’«Uomo di pietra», punta avanzata del giornalismo milanese di opposizione, con una rubrica di Corrispondenze da Venezia (firmandosi Todero). Pubblicò inoltre su «Le ore casalinghe» la ballata La sposa di Nino Saib, prima di una serie di soggetto orientale. Sullo scorcio dell’anno, iniziò a scrivere le Confessioni di un italiano; a gennaio del 1858 uscirono come strenna Le lucciole (circa settemila versi) e in febbraio si concluse il processo per L’Avvocatino: la condanna a due mesi di reclusione fu commutata in una ammenda pecuniaria. A Milano giunsero intanto i di Prampero, per l’aggravarsi della salute di Pisana, che morì di tisi il 31 marzo, pochi mesi dopo aver dato alla luce una bambina. Con loro ad aprile fece ritorno in Friuli, si stabilì per qualche settimana a Udine e poi si ritirò a Colloredo per lavorare alle Confessioni. Il 22 marzo scrisse la prima delle cinquantasette lettere a Bice. A maggio, ancora convalescente dopo una malattia febbrile, si recò dapprima a Castelfranco presso i Fusinato e quindi a Mantova, dove il 16 agosto portò a compimento, con incredibile rapidità, le Confessioni. Nel mese di settembre su «La ricamatrice» pubblicò un articolo su Vittore Hugo e il quarto libro delle sue «Contemplazioni», con saggi di traduzione. In autunno, mentre era in cura idropatica per un esaurimento nervoso a Regoledo, sul Lago di Como, lavorò alla “ripulitura” delle Confessioni; qui lo raggiunse la notizia del suicidio del poeta Cesare Betteloni, suo amico, per il quale scrisse In morte di Cesare Betteloni. Rientrato a Milano, dovette constatare le difficoltà di pubblicare il romanzo, sia per la sua lunghezza, sia per ragioni di censura. Nel gennaio del 1859 pubblicò sulla strenna de «L’uomo di pietra» la satira Gingillino in prosa e si occupò del corredo della sorella Elisa che il 6 luglio sposò a Gemona il dottor Giuseppe Vintani. Si faceva intanto sempre più forte la tensione politica e, nell’imminenza della seconda guerra d’indipendenza, molti giovani veneti e lombardi passavano clandestinamente in Piemonte per arruolarsi; tra essi i suoi fratelli Carlo e Alessandro che N., il quale già teneva i contatti con l’organizzazione per il reclutamento dei volontari, a fine marzo accompagnò al confine di Lugano, da dove raggiunsero Torino. N. si trattenne ancora a Milano e, quasi a modello epico per la prossima rivoluzione nazionale, tradusse i Canti popolari della Grecia moderna raccolti da Marino Vreto, e finalmente completò la pubblicazione a puntate, interrotta da quasi due anni, de Le avventure del Barone di Nicastro, conte philosophique alla maniera del Candide di Voltaire. Il 10 maggio N. arrivò a Torino, comperò cavallo e montura e il 12 fu arruolato nel corpo dei Cacciatori delle Alpi di Garibaldi, coi quali combatté a Varese, a San Fermo, a Rezzato e sullo Stelvio. Iniziò intanto la stesura degli Amori garibaldini, cronaca poetica dell’esperienza bellica che, dopo l’armistizio di Villafranca (11 luglio), completò a Sondrio e poi a Milano (da allora non poté più fare ritorno a Mantova, né in Friuli) e che furono pubblicati nel 1860. Il 21 luglio uscì su «Il fuggilozio» la novella La pazza del Segrino. Durante il mese di agosto, trascorso a Genova con i Gobio, tradusse dal francese L’Intermezzo di Heinrich Heine; fu forse allora che consegnò a Bice gran parte dei suoi scritti, comprese le Confessioni. A settembre rientrò nella casa di campagna di Fossato (fortunatamente compresa nella zona del mantovano sottratta all’Austria), dove rivide la madre e il fratello Carlo. In novembre, chiamato da Garibaldi, N. lo raggiunse in Emilia, ma la progettata azione nello Stato pontificio non ebbe luogo e N. tornò a Milano dove riprese l’attività giornalistica. A dicembre iniziò la stesura del romanzo, ambientato nell’alto Friuli, Il pescatore di anime, ideato da tempo, ma posposto alle Confessioni; dopo pochi giorni però la interruppe per dedicarsi al saggio Rivoluzione politica e rivoluzione nazionale, conosciuto anche come Frammento sulla rivoluzione nazionale, e all’opuscolo Venezia e la libertà d’Italia, che fu pubblicato, anonimo e retrodatato, all’inizio del 1860. Nel Frammento N. espresse il timore che alla questione nazionale venisse data una soluzione “politica” con la sola, pur necessaria, unificazione territoriale, anziché “nazionale”, consistente nella «fusione del volgo campagnuolo nel gran partito liberale»: il vero problema per la nuova Italia era a suo parere quello di recuperare al disegno democratico le masse contadine che, quasi ovunque, avevano fatto resistenza ai moti insurrezionali. All’inizio del 1860 pubblicò sulla strenna de «L’uomo di pietra» la Storia filosofica dei secoli futuri, romanzo fantapolitico sulla storia d’Italia dal 1860 al 2222 e, sull’«Almanacco del pungolo», San Marco. Tradizione, tratto dalle Confessioni; riprese inoltre la collaborazione con le riviste di Lampugnani. A marzo si iscrisse all’anagrafe di Rodigo per ottenere il passaporto italiano mentre a Milano ferveva la campagna elettorale per le prime elezioni del nuovo Stato; N. non se ne fece coinvolgere: «Aspetterò di risuscitare quando le persone abbiano ceduto il campo alle cose e i nomi alle ragioni» e restò in attesa della chiamata di Garibaldi per la ventilata spedizione nel meridione. Il 5 maggio salpò («Orfeo tra gli Argonauti», lo chiamò Giuseppe Cesare Abba che gli fu compagno) da Quarto coi Mille, a bordo del “Lombardo”, al comando di Nino Bixio. L’8 maggio, a Talamone, fu nominato viceintendente per le truppe a bordo del “Lombardo” (intendente, sul “Piemonte”, era Giovanni Acerbi) e gli furono affidate 14.000 delle 90.000 lire che costituivano la cassa della spedizione. In Sicilia si distinse combattendo valorosamente a Calatafimi e a Palermo, e Garibaldi lo fece viceintendente generale delle Forze nazionali in Sicilia e lo promosse capitano. In risposta alla campagna diffamatoria organizzata da Giuseppe La Farina, inviato a Palermo dal governo piemontese e manovrato dai moderati che miravano all’annessione plebiscitaria al Piemonte, N. scrisse un Resoconto amministrativo della spedizione, smentendo le calunniose insinuazioni di arbitri e ruberie (una prima redazione, firmata Acerbi, fu pubblicata il 23 luglio su «La Perseveranza»; una seconda, destinata al «Giornale di Sicilia», non fu pubblicata e rimase inedita sino al 1963). In agosto, allorché Acerbi lasciò la Sicilia al seguito di Garibaldi, N. assunse l’intendenza generale con il grado di maggiore ed ebbe l’incarico di riordinare le pratiche dell’amministrazione garibaldina e trasmetterle al governo piemontese. A settembre fu promosso tenente colonnello e a novembre intendente di prima classe e colonnello. Durante i mesi di permanenza in Sicilia ebbe modo di rendersi conto della condizione dei contadini del Sud ancora feudale e prese le parti del popolo meridionale, anche in risposta ai duri giudizi di suo fratello Carlo. In ottobre, nell’imminenza del plebiscito che il 25 ottobre decise l’annessione della Sicilia al Regno d’Italia, preparò il resoconto dell’amministrazione palermitana sino al 19 luglio su richiesta di Acerbi al quale intendeva consegnarlo personalmente a Napoli; cosa che non gli fu possibile. Il 9 novembre Garibaldi partì per Caprera, l’11 Cavour decretò lo scioglimento dell’esercito meridionale, il 2 dicembre fu nominato luogotenente generale della Sicilia Massimiliano Cordero di Montezemolo e arrivò a Palermo il re Vittorio Emanuele; N., ormai l’ultimo garibaldino rimasto nell’isola, poté lasciarla soltanto il 18, dopo essersi ancora dovuto difendere dalle calunnie dei lafariniani. Il 27 giunse a Milano, il 31 a Brescia. Trascorso il capodanno a Fossato con la madre e amici, tra cui Attilio Magri, scrisse per «La Perseveranza» del 3 gennaio una lettera aperta sull’amministrazione garibaldina e per «L’uomo di pietra» del 16 febbraio il suo ultimo articolo, Il giovedì grasso a Venezia. Il 13 gennaio salutò per l’ultima volta il padre e la madre e, diretto a Palermo per raccogliere ulteriore documentazione a smentita della campagna diffamatoria, si fermò dapprima a Napoli, da dove non gli fu possibile raggiungere Gaeta per vedere il fratello Carlo, impegnato nell’assedio della fortezza. Il 15 s’imbarcò sul vapore “Elettrico” e giunse a Palermo il 17; raccolto il materiale documentario, volendo ripartire al più presto, il 4 marzo 1861 s’imbarcò sull’“Ercole”, un vecchio piroscafo mercantile che salpò alle 12, 30 e all’alba dell’indomani, durante una tempesta, scomparve nelle acque di Capri senza che vi fosse alcun superstite tra le ottanta persone a bordo. Le tardive ricerche (sia ufficiali, che di familiari e amici: nel 1862 si recò a Palermo anche Matilde Ferrari, che morì nel 1868, nubile) non trovarono traccia alcuna del relitto né fu fatta luce sulle cause del naufragio. Le Confessioni di un italiano furono pubblicate nel 1867 da Le Monnier a cura di Erminia Fuà Fusinato, col titolo arbitrario di Confessioni d’un ottuagenario. N. rimase a lungo scrittore marginale e incompreso: la «lunga notte della critica nieviana», come la definisce Marcella Gorra, durò sino ad anni molto recenti e non può dirsi finita, se a tutt’oggi manca un’edizione complessiva delle opere di N.; nel 2005 essa è stata nuovamente avviata presso Marsilio Editori ad opera di un prestigioso comitato scientifico presieduto da Pier Vincenzo Mengaldo (ad oggi sono stati editi: Commedie, a cura di P. Vescovo, 2005; Drammi giovanili. Emanuele. Gli ultimi anni di Galileo Galilei, a cura di M. Bertolotti, 2006; Angelo di bontà. Storia del secolo passato, a cura di A. Zangrandi, 2008; Il conte pecorajo. Storia del nostro secolo, a cura di S. Casini, 2010).

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Bibliografia

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www.ippolitonievo.info/index.html;

www. repubblicaletteraria.net/IppolitoNievo/index2.html.

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