TECK (DI) LUDOVICO

TECK (DI) LUDOVICO (? - 1439)

patriarca di Aquileia

Immagine del soggetto

Stemma di Ludovico di Teck su denaro patriarcale (coll. privata).

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Antifonario scritto e miniato per il patriarca Ludovico di Teck (Udine, Biblioteca arcivescovile, cod. 94, f. 207v).

Il T. era l’ultimo discendente maschile dei duchi di Teck, il cui nome risaliva agli Stammburg di Kirchheim sotto Teck in Svevia (distretto di Esslingen). Suo padre si chiamava Federico, sua madre Anna era figlia del conte Ulrico di Helfenstein. Nacque intorno al 1375, il più piccolo di tredici figli, probabilmente a Mindelheim, centro di una nuova signoria fondata dal padre (distretto di Unterallgäu). Il 25 marzo 1390 egli sottoscrisse un documento del padre, morto il 28 settembre dello stesso anno, con il quale i figli si impegnavano ad amministrare un’eredità indivisa. Il T. è documentato in patria fino al maggio 1391. Al più tardi nel 1394 si iscrisse allo Studio di Padova, dove Francesco Novello da Carrara gli conferì la cittadinanza il 4 gennaio 1395. Solo sei giorni dopo, lo studente ricevette dal capitolo della cattedrale di Aquileia la maggior parte dei suffragi in occasione delle votazioni per il nuovo patriarca dopo la morte di Giovanni di Moravia. Il comune di Cividale accolse con particolare soddisfazione la sua candidatura. Motivo del favore con cui era visto da molti Friulani era l’aiuto che essi si aspettavano dal conte di Carinzia Federico di Ortenburg, che, molto più vecchio di lui, ne aveva sposato la sorella Margherita, nel frattempo morta. Contro T. si formò però, sotto la guida di Udine, un partito altrettanto forte. Papa Bonifacio IX respinse la votazione del capitolo nominando patriarca Antonio Caetani. Quando nel febbraio del 1402 la cattedra patriarcale fu di nuovo vacante, il T., allora a Mindelheim (dove è nominato in luglio e in ottobre del 1401), era di nuovo tra i candidati. Il successore Antonio Pancera venne a conoscenza già nell’aprile del 1404 di pressioni fatte alla curia romana per sostituirlo con il T. Per di più, dopo che Gregorio XII il 13 giugno 1408 lo depose, Cividale, da lungo tempo in aspra opposizione al papa, sollecitò con alcuni castellani friulani il conferimento del patriarcato al T. I cardinali che allora avevano abbandonato il papa confermarono in novembre che Gregorio gli aveva promesso il patriarcato. ... leggi Questi tuttavia vi provvide all’inizio del 1409 scegliendo Antonio da Ponte. Re Venceslao l’11 ottobre 1409 nominò quale vicario imperiale in Friuli il conte di Ortenburg che giunse in dicembre a Cividale con le truppe. Egli incontrava il favore di molti Friulani che si adoperarono senza esito con Alessandro V, il papa eletto dal concilio di Pisa, per elevare il T. a patriarca e porre fine alla rivalità tra il Pancera e il da Ponte. Il 16 aprile 1410 il T. fu insignito da Venceslao delle giurisdizioni “in temporalibus” del patriarcato, che lo impegnavano alla fedeltà all’Ortenburg. Nonostante il Friuli facesse parte dell’Impero, questo atto era privo di fondamento giuridico, perché Venceslao dopo la sua destituzione nel 1400 regnava ormai solo sulla Boemia. In seguito tuttavia suo fratello Sigismondo, eletto re di Germania, confermò l’Ortenburg vicario imperiale il 24 gennaio e di nuovo il 14 giugno 1411: i Friulani gli dovevano obbedire, finché il papa Giovanni XXIII subentrato nel frattempo ad Alessandro V non avesse scelto un nuovo patriarca. Questa nomina avrebbe dovuto condurre alla fine delle discordie in Friuli, ma l’occasione per il T. si presentò solo quando il Pancera fu nominato cardinale il 5 giugno 1411. Nei contrasti interni a sostegno di Cividale intervennero alla fine di settembre le truppe ungheresi; il 28 novembre seguì un grande esercito di Sigismondo e nel giro di poco tempo l’intera Patria fu occupata. I comuni e i nobili giurarono fedeltà al vicario imperiale Ortenburg. Parallelamente il consiglio del parlamento friulano il 18 gennaio 1412 chiedeva a Sigismondo di pensare ad un nuovo patriarca. Tale richiesta contrastava con la precedente linea del consiglio di Udine, che per voce di Tristano Savorgnan aveva chiesto l’11 febbraio 1411 un patriarca italiano. Anche Giovanni XXIII favorì candidati italiani come il giurista bolognese Giacomo Isolani o Pandolfo Malatesta, figlio del signore di Pesaro; non di meno pure Venezia desiderava un italiano. Sigismondo al contrario “elesse” il T. non più tardi del novembre 1411, con ogni probabilità rinnovando semplicemente la designazione fatta da Venceslao nel 1410. Il parlamento friulano conobbe questa decisione da un segretario dell’Ortenburg il 19 febbraio 1412. Nove giorni prima il capitolo di Aquileia aveva designato il conte “vicedominus generalis” dell’amministrazione del patriarcato durante la vacanza della sede e in aggiunta vicario “in spiritualibus” e “in pontificalibus”. I Friulani accondiscesero al desiderio di Sigismondo “eleggendo” anch’essi il T., come riferisce un cronista. Il 28 marzo il re incaricò il conte Enrico di Gorizia, la cui famiglia deteneva l’avvocazia del patriarcato fin dai tempi antichi, di investire il prescelto. T., segnalato a Mindelheim ancora il 29 settembre 1411, giunse in Friuli con l’Ortenburg probabilmente in aprile, al più tardi nell’estate del 1412. Il 6 luglio il capitolo di Aquileia passò alla nuova elezione. I cinque canonici presenti, non riuscendo ad accordarsi, delegarono la decisione a tre rappresentanti (“electio per compromissum”) che raggiunsero l’accordo sul nome del T. Nel documento di elezione si dava rilievo alla sua discendenza principesca e alla sua formazione. L’Ortenburg il 12 luglio 1412 invitò il parlamento alla solenne investitura temporale del T. nel duomo di Cividale; dopo che egli ebbe prestato il giuramento di vassallaggio, Enrico di Gorizia lo fece sedere sulla cattedra patriarcale e gli porse la spada sguainata come simbolo della sua giurisdizione. Quindi i presenti resero giuramento di fedeltà al “patriarche electo et postulato”. Nelle settimane successive i rappresentanti di tutto il Friuli seguirono questo esempio. Il T. promise solennemente il rispetto dei diritti costituiti e delle antiche consuetudini. Egli, pur avendo ricevuto solo gli ordini minori e non essendo ancora confermato da Giovanni XXIII fu riconosciuto universalmente in Friuli. Nei circa sette anni del suo governo diretto della Patria si mostrò più interessato alle questioni temporali che a quelle spirituali: agì infatti più come principe temporale che come uomo di Chiesa. La guerra di Sigismondo contro Venezia e parte del Friuli che faceva capo a Tristano Savorgnan si accese con nuova violenza nell’autunno 1412, da dicembre sotto la guida personale del re. Dalla sua parte stavano – oltre i conti Ermanno di Cilli, Enrico di Gorizia e Federico di Ortenburg – Brunoro della Scala e Marsilio da Carrara, che Sigismondo aveva nominato vicari imperiali perché lo appoggiassero nella conquista di Verona, Vicenza e Padova. Il T. faceva parte della corte e, come consigliere del re, trattò con i duchi d’Austria a Udine il 15 gennaio 1413. Entrambe le parti si sfinirono nelle battaglie fino a che Sigismondo e Venezia, nonostante i loro profondi contrasti di interesse e grazie alla mediazione dei delegati papali, raggiunsero l’accordo per una tregua il 17 aprile a Castellutto: il Friuli e i restanti territori conquistati sarebbero rimasti per cinque anni in possesso del re. Sembra che il T. abbia iniziato una vera e propria attività di governo solo dopo la partenza delle truppe reali. Il 25 aprile 1413 si tenne infatti un parlamento sotto la sua presidenza. Da allora egli convocò regolarmente il parlamento o il suo consiglio per lo più nel castello di Udine, divenuto la sua residenza principale, meno spesso nel palazzo patriarcale di Cividale, e talvolta anche a Gemona, San Daniele e Aquileia. Quando nel 1415 si profilò il pericolo di attacchi turchi, il T. il 21 maggio fece arretrare gli invasori guidando le sue truppe fino a Radovijca, uno dei luoghi di soggiorno preferiti dal cognato Ortenburg e ritornando quindi a Udine il 28 giugno senza combattere. Quando in agosto i Turchi invasero nuovamente i territori dei conti Cilli e Ortenburg, il T. volle ancora condurre personalmente l’esercito contro di loro, senza tuttavia venire in contatto con il nemico. Del suo periodo di governo si conoscono anche conflitti di confine con i duchi d’Austria, i conti di Gorizia e i signori di Walsee, mentre nulla si sa di questioni ecclesiastiche da lui affrontate. Fino a che gli mancò la conferma papale, il T. dovette accontentarsi del titolo di “patriarcha electus”. Sigismondo si impegnò per lui come ebbe ad annunciare ai Friulani il 12 aprile 1415; tuttavia la fuga di Giovanni XXIII dal concilio di Costanza rese vani i suoi sforzi. Inutilmente il parlamento friulano inviò al concilio nel 1415 e nel 1416 legazioni di sostegno. La questione per essere risolta doveva attendere l’elezione di un nuovo papa di unità. Tuttavia neppure dopo l’elezione di Martino V, avvenuta l’11 novembre 1417, il T. si affrettò in modo particolare a chiedere la conferma della sua elezione. Certamente egli aveva lasciato il Friuli già prima di novembre, forse dopo una visita a Mindelheim; arrivò a Costanza – con il fratello Ulrico – solo il 6 gennaio 1418. Il 13 dicembre precedente il parlamento friulano aveva votato una supplica da inviare al nuovo papa in suo favore, ricordando come il T. avesse saputo ottenere la pace in Friuli dopo un lungo periodo di disordini. Martino V concesse la conferma il 28 febbraio 1418. Sulla via del ritorno da Costanza, il T. arrivò a Venzone e raggiunse Udine il giorno successivo. Poiché la fine della tregua si avvicinava, erano già iniziati in Friuli i preparativi per la difesa. Si era saputo che la Repubblica era pronta ad un attacco immediato, se non si fosse raggiunta la pace con Sigismondo. Gli inviati tornati a metà aprile riferirono al parlamento che Venezia si preparava alla guerra. La difesa doveva essere organizzata dallo stesso patriarca, dal momento che il 28 aprile morì il vicario imperiale Ortenburg; il 10 maggio Sigismondo elesse il T. tutore dei figli minorenni del conte e il 31 dicembre lo nominò vicario generale del Friuli. Dopo i primi attacchi veneziani in maggio, il T. e il parlamento cercarono da una parte aiuto esterno, attraverso ambasciate al papa e a Sigismondo, dall’altra inviarono a più riprese delegati a Venezia con l’incarico di trattare la pace. I Veneziani mostravano tuttavia di dubitare della sincera volontà dei Friulani di rispettare la condizione più importante consistente nella totale sicurezza delle strade per il trasporto delle merci. Oltre a questo chiedevano la separazione “de facto” da Sigismondo, perché questi nel 1412 aveva imposto un embargo a Venezia e l’aveva aggravato ancora nel 1418. Era però impossibile che il T. rinunciasse alla protezione del re. Avrebbe potuto farlo solo una volta raggiunta la pace tra il re e Venezia, ma il tentativo fallì a causa dei profondi contrasti di interesse. Mediatore nel conflitto tra il T. e Venezia era il cardinale Pedro Fernández de Frías, che Martino V aveva inviato come legato nel febbraio 1419. Poiché non ottenne alcuna garanzia di sicurezza, il T. non si arrischiò di andare a Venezia e così questi sforzi non ebbero esito. I Friulani iniziarono allora ad allontanarsi dal loro signore perché agli occhi di molti egli costituiva la causa principale della guerra ininterrotta con il potente vicino, per cui si aprirono di nuovo gli antichi contrasti interni. Fu per primo il comune di Cividale l’11 luglio a schierarsi dalla parte della Repubblica; il 26 agosto inviò al patriarca e ai suoi sostenitori una formale dichiarazione di ostilità. Il T. era andato poco prima da Sigismondo per ottenere personalmente aiuti militari. In effetti egli ritornò l’11 novembre con un esercito e Cividale fu assediata. Quando nel gennaio 1420 si avvicinarono le truppe veneziane, gli Ungheresi lasciarono il paese. Il T. si dovette unire a loro; il 23 gennaio è segnalato a Udine. Poco prima egli aveva inutilmente inviato a Venezia un delegato per trattare in segreto la pace. A maggio rinnovò il tentativo: da una parte ribadiva il suo diritto sulle intere entrate del patriarcato, ed escludeva il ritorno di Tristano Savorgnan a Udine, dall’altra comunicava al consiglio cittadino che con il consenso di Sigismondo sarebbe ritornato con una forza militare; a giugno questa ambasciata giunse anche a Venzone. Ma si trattava di annunci vani: Venezia sottomise Udine il 6 giugno 1420, cui seguì in agosto la sottomissione dell’intero territorio del patriarcato in Friuli e in Istria. A sostegno di queste conquiste si fece valere allora e più tardi lo “ius belli” e il diritto all’autodifesa, in quanto truppe del Friuli avevano attaccato ripetutamente il territorio della Repubblica. Così l’alleanza tra Sigismondo e il T. – accanto alle lotte interne e alla conseguente insicurezza delle vie di commercio – divenne la causa di una conquista, destinata ad una durata plurisecolare. Inviati di Martino V nel settembre 1420 portarono a Venezia l’ordine di riconsegnare il Friuli, mentre il papa avrebbe pensato alla nomina di un altro prelato, un “patriarca pacifico”, ma il tentativo fu inutile e il papa accettò infine nel giugno del 1421 lo “status quo”. La sfera di competenza del T. fu da quel momento limitata a quella parte della diocesi di Aquileia che si trovava oltre le Alpi: egli governava sulla Carinzia meridionale e su gran parte della Carniola, corrispondente all’attuale Slovenia. Lì esercitava la giurisdizione ecclesiastica, ma non disponeva dei diritti di signoria temporale. Ciò significò anche una radicale diminuzione delle entrate: quelle del patriarcato erano stimate complessivamente dalla curia papale 30.000 ducati l’anno, la maggior parte dei quali di origine temporale, come dimostra il calcolo fatto dai Veneziani, che rivendicarono per sé tali introiti. Le rendite ecclesiastiche d’altra parte ammontavano a 2.500 ducati annui (limitati tuttavia al Friuli e forse anche all’Istria). Cilli si trovava nel territorio della diocesi e il T. preferiva chiaramente la vicinanza del conte Ermanno. Sigismondo affidò a questi il 10 marzo 1425 la difesa del patriarcato, quando assunse la protezione dell’Impero. A Ermanno erano andati per eredità i feudi imperiali di Ortenburg e quando il re li conferì al conte il 29 febbraio 1421 a Breslau, il T. era presente. Egli è segnalato il 16 agosto alla corte reale, allora a Kutná Hora presso Praga. Fu presente alle diete imperiali a Norimberga nell’aprile e nel maggio del 1421 e nel 1422 tra luglio e settembre; nella prima estate del 1424 si trattenne di nuovo da Sigismondo a Buda. La presenza del T. è documentata poi nel marzo 1425 a Slovenj Gradec e a Lubiana, nel maggio dello stesso anno a Cilli, dove conferì al conte Ermanno diversi feudi del patriarcato. Il T. dovette fermarsi presso di lui, perché entrambi dalla primavera del 1426 progettavano insieme una discesa in Friuli, per la quale le truppe di Sigismondo dovevano essere di nuovo preparate. In agosto entrò in Friuli solo un piccolo contingente, che il mese successivo fu respinto con facilità dall’esercito veneziano. Nell’estate del 1429 il T. ritornò al castello reale, allora a Bratislava. Nel marzo del 1430 era dal fratello Ulrico a Mindelheim, in settembre a Cilli. L’anno successivo tentò di nuovo con il conte Ermanno un attacco armato al Friuli. Dopo i preparativi iniziati a giugno, entrò in Friuli il 30 ottobre: Manzano, Rosazzo e Trussio furono occupate; Cividale e Udine minacciate. Tuttavia già il 16 novembre truppe veneziane respinsero il patriarca e il suo esercito. Il T. dal luglio 1432 si trovava a Mindelheim. Lì raccolse l’eredità del fratello Ulrico, morto il 7 agosto, e fino all’aprile dell’anno seguente rimase impegnato nelle operazioni connesse alla successione. Partecipò alla dieta imperiale di Norimberga, iniziata nel novembre del 1433. Il 4 giugno di quell’anno Sigismondo, grazie alla mediazione di papa Eugenio IV, aveva concluso a Roma un accordo con la Repubblica di Venezia. Il T., che doveva sentirsi abbandonato da Martino V e che certamente non si aspettava niente dal suo successore, un veneziano, non poté da allora più contare sul sostegno imperiale e così cercò aiuto nel concilio di Basilea, dove fu ripetutamente invitato a partecipare fin dalla sua apertura il 23 luglio 1431. Vi arrivò il 7 gennaio 1434 e fu accreditato il 16; in seguito fu membro della “deputacio de communibus” e della nazione tedesca del concilio. Finché Sigismondo fu a Basilea, il T. fece più volte da giurato nel suo tribunale e anche da portavoce del re. Alla richiesta del T. di restituire il patriarcato, il senato di Venezia reagì già in febbraio; tuttavia il patriarca avanzò una pubblica querela al concilio solo il 20 aprile. Gli inviati veneziani avevano avanzato una serie talmente lunga di aggiornamenti e di proroghe da suscitare l’ira del T. e la nausea dei padri conciliari. Si rimproverava l’ostinazione del T. Proposte di compromesso rimasero senza esito, come pure il pagamento da parte della Repubblica di determinati censi annuali al patriarca, che avrebbe potuto impiegare un vicario per l’amministrazione ecclesiastica. Il T. insisteva sull’incondizionata restituzione del Friuli che i Veneziani rifiutavano caparbiamente: la presenza del T. “capitalis inimicus”, era per loro intollerabile. Raccolsero in una controquerela di 42 “crimina” che il T. avrebbe compiuto durante il suo governo o per i quali lo stesso T. aveva ottenuto la deposizione; c’erano inoltre le lagnanze dei sudditi per avere egli governato più duramente di quanto conveniva ad un prelato. Dopo molte sedute processuali, il 20 settembre la cancelleria del concilio stese un “monitorium”, che il T. fece affiggere il 29 alla porta del duomo di Basilea: se il Friuli e l’Istria, assieme a privilegi, reliquie, tesoro e libri della Chiesa di Aquileia non fossero stati restituiti al patriarca in breve termine, il doge e i reggenti di Venezia sarebbero stati esposti alla scomunica e la Repubblica all’interdetto. Dopo un anno di ulteriori tentativi di mediazione e di proroghe, il concilio il 23 dicembre 1435 annunciò infine l’avvio delle pene minacciate. Il T. ringraziò nella sessione conciliare e chiese venia «se era stato forse troppo impetuoso». I contemporanei vedevano il T. pieno di livore contro il veneziano salito sul trono papale e che nel luglio 1438 egli chiamò pubblicamente bottegaio ed eretico. Quanti più padri conciliari abbandonavano il concilio nel corso degli anni e prendevano posizione a favore di Eugenio IV, tanto più il T. veniva in primo piano. Nell’aprile 1436 fu mandato come legato dall’imperatore Sigismondo a Vienna e lo accompagnò attraverso Jílava a Praga; a settembre ritornò a Basilea. Fu poi presente a Francoforte nel marzo 1438 come osservatore del concilio all’elezione di Alberto II e visitò in maggio e in giugno il nuovo re a Vienna. Più tardi durante l’anno fu inviato alle diete imperiali di Norimberga, che ebbero luogo in luglio, poi da ottobre a novembre; nel marzo e nell’aprile del 1439 visitò la dieta di Magonza con i poteri di “legatus de latere” del papa che il concilio gli aveva conferito. Nel frattempo il T. fece più volte il presidente del sinodo generale, della sua deputazione e della nazione tedesca; ricevette inoltre dal sinodo pieno appoggio alla sua richiesta di restituzione del patriarcato, anche con una disposizione del 21 maggio 1439. Il suo atteggiamento al concilio mostra come gli fossero più congeniali il dominio temporale e la diplomazia piuttosto che l’ufficio spirituale. Il T. morì durante un’epidemia di peste il 19 agosto 1439, dopo una settimana di infermità. Enea Silvio Piccolomini (Pio II) riferisce, che egli trovò conforto nell’aver potuto collaborare alla deposizione conciliare di Eugenio IV, anche se non gli fu possibile partecipare all’elezione del successore, Felice V, da parte del concilio. Fu sepolto nella chiesa della Certosa di Basilea davanti all’altare. I possedimenti della famiglia che aveva amministrato per sette anni furono ereditati dai discendenti delle sorelle Gut di Wertheim e Irmela di Rechberg.

La presenza del vicario imperiale conte di Ortenburg e quella del patriarca L. di T. comportarono un contemporaneo seguito di cancellerie, le cui tracce, ancorché evidenti, al livello attuale degli studi restano sporadiche. Le più importanti per la storia della cultura in Friuli sono quelle lasciate dai cappellani del patriarca: il T. infatti si servì di qualcuno di loro per far copiare codici liturgici – e forse non soltanto questi. Ne donò direttamente alcuni alla chiesa udinese di S. Maria di castello, la cui fraterna, che li custodiva, prestatili poi al convento dei francescani della Vigna, nel 1458 dovette ricorrere alla giustizia per ottenerne la restituzione. In tale occasione fu compilato un inventario dal quale si deduce che un messale, allora “quasi novum”, scritto in “littera theotonicali”, sulla coperta di cuoio riportava l’arma del patriarca e del conte di Ortenburg e che c’era un altro messale “parvum”, ugualmente in “littera theotonicali”. Un testimonio affermò di averli visti entrambi nella sacrestia della chiesa del castello e precisò che il T. nella sua cancelleria aveva dei cappellani che avevano copiato un antifonario e un graduale. Secondo i paleografi le descrizioni corrispondono agli attuali codici 93 e 94 della Biblioteca arcivescovile di Udine. Ma il patriarca ne aveva lasciati, o forse aveva dovuto abbandonarne degli altri, elencati dal notaio Pietro Vari il 13 gennaio 1430 per la fraterna di S. Maria, pure responsabile della loro prima dispersione. Chi fossero questi copisti dalla grafia tanto elegante ancora non è chiaro. Da documenti ufficiali si ricavano pochi nomi, non necessariamente quelli degli scribi dei codici, ma piuttosto quelli dei cancellieri, primo dei quali Giorgio, inviato dal T. a rappresentarlo presso il consiglio della città di Udine il 3 febbraio 1419. In un’atmosfera di trepida attesa per una pace con Venezia, il cancelliere a nome del signore esortava la comunità a far costruire una grande bombarda, per la quale il “magister” incaricato, non ricevendo la precisa commissione, non poteva intraprendere il lavoro. Si ritiene inoltre di poter identificare nella stessa persona quel “Georo”, scriba e cancelliere del patriarca, citato tra i testimoni dell’atto con il quale il consiglio del parlamento della Patria, alla presenza anche del patriarca, nominava i procuratori per trattare la pace con Venezia (10 maggio 1419). Un secondo personaggio è Enrico “de Rayviniz”, mandato in veste di cancelliere patriarcale alla seduta del consiglio del parlamento a Udine il 24 marzo 1419 anche qui per la nomina dei procuratori da inviarsi per trattare la pace con i Veneziani. Un terzo infine è quel Pietro cappellano patriarcale, che nella seduta del parlamento del 9 dicembre 1415 a Udine rappresentava il preposito di Carnia. In questa circostanza il patriarca cercò di difendersi dall’accusa di aver stornato a vantaggio personale il denaro delle sue imposizioni. Anche lo “scriptor” del conte di Ortenburg s’incontra fuori della cancelleria. Si tratta di un Giovanni, non meglio precisato, citato come autorevole testimonio nel verbale del parlamento del 1414 relativo alla serie di petizioni presentate al parlamento dalle vittime di Tristano Savorgnan. Dato che i pochi documenti cui ci si riferisce sono però tutti attinenti ad attività politica e per di più in momenti particolarmente difficili, si può desumere che i compiti di queste persone oltrepassassero quello della diplomatica e dell’acribia grafica e che i loro servizi si esplicassero anche in delicate situazioni politiche.

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Bibliografia

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