GIUSTINIAN LEONARDO

GIUSTINIAN LEONARDO (1376 - 1446)

luogotenente della Patria, umanista

Immagine del soggetto

Pagina del codice della Biblioteca universitaria di Padova 541 (f. 13r) con rime di Leonardo Giustinian, trascritto nel 1432.

Appartenente a una antica e illustre famiglia senatoria, nacque a Venezia da Bernardo e da Quirina Quirini verso il 1386. La madre rimase vedova in giovanissima età con tre figli: Pietro, Marco, Leonardo. Pietro seguì la vocazione religiosa e divenne il primo patriarca di Venezia; Marco si dedicò alla carriera militare e politica. L. si formò con Giovanni Conversini da Ravenna, da cui apprese il greco e il latino; quindi fu scolaro di Guarino Guarini, con il quale approfondì la sua cultura umanistica e a cui rimase legato negli anni; alla guida di Guarino dovette le traduzioni dal greco in latino delle vite di Cimone e di Lucullo di Plutarco. Sposò nel 1405 Lucrezia di Bernardino da Mula, da cui ebbe Bernardo, che diventò politico e storico illustre. Brillante fu il suo cursus honorum: più volte avogador, savio del consiglio di Dieci e savio di terraferma, fu inquisidor nel 1429, luogotenente della Patria del Friuli nel 1432, savio grande in molti mandati tra il 1433 e il 1446, membro del consiglio dogale nel 1442 (intervenne allora in una lucida difesa dell’operato del doge Francesco Foscari), procuratore di S. Marco nel 1443. Proprio quando era destinato a raggiungere la dignità dogale, veniva colpito da una progressiva cecità. Moriva il 10 novembre 1446. In rapporto agli incarichi civili e politici, gli erano state assegnate importanti missioni diplomatiche: così a Mantova nel 1436 e a Napoli nel 1443. Fu famosissimo come oratore: a lui toccò, per le sue conoscenze di greco, di rivolgere insieme con Francesco Barbaro l’orazione di saluto a Giovanni VIII Paleologo quando questi fu a Venezia nel 1423; a lui fu affidato il compito di tessere orazioni funebri di particolare delicatezza: tale quella per Carlo Zeno, che doveva essere difeso dall’accusa di tradimento verso la Repubblica, e quella per Giorgio Loredan, le circostanze della cui fine non dovevano volgersi in accusa contro Alfonso V di Aragona. ... leggi Ebbe anche in animo di raccogliere quegli interventi pubblici: confidava infatti a Pier Tommasi nel 1420 di voler «mandare litteris quasdam ex iis orationibus quas ego tot tantasque cum non mediocri forte audentium assensu ac laude peroravi». Come patrizio assorbito nei doveri di stato dovette con fatica sempre sottrarre al peso delle incombenze il tempo da dedicare agli studi, cui mai, peraltro, voleva rinunciare. Di tale difficile conciliazione (comune, si sa, alla maggior parte degli umanisti veneziani) tratta spesso nella corrispondenza con i suoi amici letterati. Oltre che al Tommasi, ne parla ad Ambrogio Traversari nel 1433, ad Andrea Giuliano nel 1435, a Palla Strozzi nel 1443; sempre tuttavia con la piena consapevolezza che le due sfere di vita devono procedere parallelamente: «nam posteaquam utrumque nostrum respublica amplissimis ornavit muneribus, studia nostra privata cum publicis actionibus convenire par est». Il suo epistolario che copre un trentennio, dal 1415 al 1445 circa, testimonia interessi e progetti di lavoro personale, relazioni culturali, affetti privati. Giustamente ne è sempre stata sottolineata la distanza dalla formalità degli epistolari umanistici. Alcuni corrispondenti: Lauro Quirini, Andrea Giuliano, Guarino Guarini, Antonio Rossello, Ambrogio Traversari, Silvestro Lando, Ciriaco d’Ancona, Palla Strozzi, Flavio Biondo, Bernardino da Siena. Grande collezionista di materiale librario, per reperirlo fu al centro di una fitta rete di collegamenti, specie con il vicino oriente; attraverso Cipro e Costantinopoli, Giustinian fece ricercare codici che confluirono in una biblioteca presto divenuta preziosa punto di riferimento per l’intera comunità culturale del tempo, sia per il versante dei manoscritti greci e latini, sia per quello dei testi in volgare. Traversari lo sollecitava: «si quid ex Graecia tuae bibliothecae adiectum est, scrive aveo»; Nicolò Ceba gli chiedeva a prestito annali veneti per i commentari che aveva in fattura. Molti testi gli vennero da un deposito del Filelfo: controversa ne fu la legittimità di non restituzione, che ad ogni modo non inficiò l’amicizia tra i due. Fitto fu il ponte di commercio librario tra Venezia e Firenze: il G. chiedeva a Traversari indici di libri sacri e profani da poter acquistare anche a nome di amici; commissionava scrittura e miniature di codici, per i quali si occupava di inviare da Venezia colori e vernici, specie quelle preziose importate dalla Siria. I due si avvalevano dei frequenti viaggi tra le due città di Mariotto Nori, scolaro del Guarino, agente degli Strozzi e segretario d’ambasciata. Accanto agli interessi più strettamente filologici, il G. manifestò presto il desiderio di tentare altre vie, di produrre qualcosa di strettamente personale e nuovo: ancora nel 1420, sempre nella lettera a Pier Tommasi, all’amico che gli aveva inviato codici di Plutarco confidava di volersi staccare dall’attività del tradurre: «alio me vertam», progettava. Andò infatti dedicandosi al terreno della creazione poetica, dando vita a una vasta produzione di rime in volgare di tematica amorosa: testi di carattere popolare, sirventesi, ballate, strambotti, nonché qualche sonetto. Si diffusero subito, qualificate come “le canzonette”, e furono presto affiancate anche da una altrettanto vasta produzione di laudi di carattere sacro, collegate a momenti di preghiera, a occasioni di festività religiose, a scadenze liturgiche; accompagnate dalla musica che il G. stesso componeva. Il successo fu tale che «ea populus ferme omnis in ore verset quotidie» confidava ad Andrea Giuliano nel 1435. Proprio il successo delle giustinianee, profane e sacre, diede l’avvio a un fenomeno di diffusione, nel Veneto e in altre regioni, e insieme di trasformazione e rimaneggiamento dei testi, di sovrapposizioni linguistiche, di riscritture “alla maniera di”, così che fin dalle prime stampe si attuò un processo di disgregazione testuale che rende ancora oggi pressoché disperato l’intervento filologico che voglia recuperarne l’intero corpus nella sua veste originaria. Ciò spiega l’assenza, a tutt’oggi, di una edizione critica delle sue rime, un vuoto che penalizza una delle voci più rappresentative della poesia quattrocentesca veneta. Anche la raccolta delle laudi operata dal Luisi è, per dichiarazione dello stesso, un insieme di laudi “secondo i modi” del G. Era il 1432 quando il G. fu incaricato della luogotenenza della terra friulana, succedendo a Giovanni Contarini. Venne accolto da un discorso di saluto di Giovanni da Spilimbergo, il grammatico operante allora a Cividale: ansioso di stabilire rapporti con l’illustre personalità del patrizio umanista gli avrebbe chiesto anche copia delle traduzioni dal greco di Plutarco. La statura culturale del G., a quell’altezza temporale, dovette divenire centro di aggregazione per la comunità dotta friulana: nomi accertati nelle relazioni avviate in quell’anno sono quelli del dottore in utroque Antonio da San Daniele, del dottore in decreti Antonio Belgrado, di Francesco di Ermacora Vari, di Tommaso Salvioli, dell’abate di Summaga. Da Guarino gli veniva raccomandato il suo «amicus dilectissimus Costantinus Iosephus Utini habitans». Scrivendo successivamente (1433) ad Antonio da San Daniele il G. ricorderà con nostalgia quei giorni e quegli incontri: «mihi in mentem veniunt ii cives nobilissimi, veniunt autem saepissime, nec discedunt unquam». Di Antonio in particolare gli resterà la «suavissima consuetudo et orando et disputando et deambulando». L’attività di luogotenenza dovette essere notevole se, scrivendo nel 1433 all’amico Traversari, il G. lamentava di aver dovuto interrompere i suoi rapporti con Firenze a causa appunto degli oneri di lavoro: «non dubito te annum proxime praeteritum taciturnitatem meam aequo animo tulisse, qui Praeturae nostrae Foroiuliane plurimis et maximis occupationibus id temporis adsidue me implici exstimare potueris». Sebastiano Borsa, suo segretario e notaio (nonché fedelissimo e affezionato), spiegava a Giovanni da Spilimbergo quanto poco tempo gli rimanesse per utilizzo personale e a quale fatica scrittoria fosse sottoposto. Solo tre anni prima era stato promulgato il testo delle nuove costituzioni della Patria del Friuli e dunque erano gli anni di una primissima fase assestativa della legislazione a confronto con rivendicazioni di diritti particolari. Gli atti del periodo di luogotenenza in terraferma sono conservati nell’Archivio di stato di Venezia: un Quaternus Sententiarum, un Quaternus Criminalium, un Quaternus Literarum, quest’ultimo purtroppo pressoché illeggibile, in quanto attaccato da muffa vinosa. Perdita questa notevole perché fonte preziosa per ricostruire, al di là delle circostanze ufficiali di scrittura, relazioni del G. con personalità dei luoghi. Tali, per esempio, tra i lacerti leggibili, le lettere alla badessa di S. Maria di Valle, ai camerari della chiesa di S. Pietro di Osoppo, a Nicolò di Valvasone, all’abate di Sesto. Dai registri sopra citati, attraverso le pratiche processuali, si possono reperire (lavoro questo tutto da fare) nomi di procuratori, di cancellieri e notai, di testimoni, di ecclesiastici. Nel Quaternus Sententiarum gli atti a firma di Sebastiano Borsa hanno date esplicitate dal marzo al settembre; Borsa era stato allievo di Damiano da Pola, il grammatico già maestro anche a Padova e a Venezia, insegnante a Udine proprio nel 1432: si può ben intravvedere la trama geografica di rapporti che veniva allora attivata. Entro la stessa, emblematica è anche la visita di Ciriaco d’Ancona che, interessato al sito di Aquileia, venne ospitato dal G. Questi coinvolse anche il figlio Bernardo nei suoi rapporti con la comunità culturale friulana; il carteggio tra Bernardo e Giovanni da Spilimbergo ne è testimonianza. Anno oneroso dunque, quel 1432: ma il G. ebbe anche a confidare al fratello Marco che gli impegni di quel periodo gli sembravano in verità poca cosa rispetto a quelli assillanti sostenuti negli anni precedenti, durante le lotte tra Venezia e Milano, e che l’amministrazione della provincia «interdum licet ociari». Proprio frutto di quell’ozio sono due suoi contributi: la traduzione da Plutarco della Vita Phocionis e le Regulae artificialis memoriae. Si tratta di due risposte a esigenze per così dire familiari e spendibili in tempi limitati. La traduzione da Plutarco gli era stata richiesta molto tempo prima dal fratello Marco, in quanto conteneva un esempio straordinario di politico giusto e disinteressato, così come di uomo saggio e onesto. Veniva dunque confezionata per ragioni di affetti privati, per i suoi risvolti “narrativi” e senza ambizioni di scrupoli filologici, che sarebbero stati invece applicati nella più tarda traduzione della Vita Nicolai Myrentiis da Simone Metafraste per il fratello Lorenzo. Il trattatello di arte memorativa per il figlio Bernardo solo in apparenza è lavoro di poco conto, in realtà è contributo prezioso sia all’interno del panorama di arte memorativa quattrocentesca e i suoi possibili utilizzi da parte dei maestri di scuola, sia come dichiarato supporto alle capacità oratorie, centrali nell’attività politica e diplomatica. E infine un dato di grande conto nella storia testuale delle poesie del G.: il codice della Biblioteca universitaria di Padova 541, che contiene una silloge di rime, fu trascritto proprio nel 1432 e da persona molto vicina al G., se poteva inserire nello stesso codice copia di una sua lettera a Sante Venier dicendola scritta solo una settimana prima (si è nel mese di aprile): quel codice è dunque testimone prezioso, perché confezionato sotto l’egida, per così dire, dello stesso autore. Individuando l’identità del copista (Sebastiano Borsa, allora suo segretario e strettissimo collaboratore?), proprio un tassello “friulano” potrebbe rivelarsi fondamentale nell’intricata tradizione dei testi giustinianei.

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Bibliografia

F. PIGNATTI, Giustinian, Leonardo, in DBI, 57 (2001), 249-254 (offre una prima bibliografia, con rinvii alla situazione editoriale delle opere e alle intricate problematiche testuali delle rime, per le quali sono fondamentali gli studi, ivi citati, di Quaglio); da aggiungere E. QUAGLIO, Leonardo Giustinian tra poeti padovani (e non) in nuovi frammenti veneti del Quattrocento. I. Tre canzonette, «Bollettino delle Società letteraria di Verona», 3/4 (1981), 86-115. Raccolte di rime si trovano in M. DAZZI, Leonardo Giustinian poeta popolare d’amore (con una scelta di sue poesie), Bari, Laterza, 1934, che resta a tutt’oggi lavoro cui fare riferimento e in A. BALDUINO, Rimatori veneti del Quattrocento, Padova, Clesp, 1980. Ulteriori rimandi: sull’attività di traduttore L. NADIN, Su Leonardo Giustinian traduttore di opere greche, «Quaderni veneti», 1 (1985), 31-39; sul trattatello di arte memorativa L. NADIN, Le carte da gioco bit memorativi, in Carte da gioco e letteratura fra Quattrocento e Ottocento, Lucca, Pacini Fazzi, 1997, 13-34. Sul periodo friulano: V. MASUTTI, Incontri udinesi tra “otia” e “negotia” del luogotente Leonardo Giustinian, «MSF», 65 (1986), 113-128; sul circuito culturale di Giovanni da Spilimbergo: CASARSA - D’ANGELO - SCALON, Libreria. Tutti da analizzare i registri ufficiali della luogotenenza conservati in ASV, Luogotenenza della Patria del Friuli, VI: Quaternus Sententiarum in causis appellationum et protectionum; Quaternus Criminalium, primus et secundus, con biglietti sparsi; Ibid., Quaternus Literarum, con qualche lettera in volgare. Sui rapporti con Ciriaco d’Ancona, al di là della testimonianza data da Ciriaco stesso nel suo Itinerarium, qualche spunto si ricava da Ciriaco d’Ancona e la cultura antiquaria dell’Umanesimo. Atti del convegno internazionale di studio (Ancona, 6-9 febbraio 1992), a cura di G. PACI - S. SCONOCCHIA, Reggio Emilia, Diabasis, 1998; per il testo del carteggio in rima tra Ciriaco e G. l’edizione moderna è data da E. QUAGLIO, Sulla corrispondenza in sonetti di Leonardo Giustinian con Ciriaco Pizzicolli, «Filologia e critica», 17 (1992), 253-257. Sul codice di canzonette Padovano Universitario 451, proveniente dai vecchi codici di S. Giustina, si veda G. BILLANOVICH, Per l’edizione critica delle canzonette di Leonardo Giustinian, «Giornale storico della letteratura italiana», 110 (1937), 197-252 e Alla scoperta di Leonardo Giustinian, «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa» s. II, 8 (1939), 99-130 e 33-357; ID., Biblioteche di dotti e letteratura italiana tra il Trecento e il Quattrocento, in Studi e problemi di critica testuale. Atti del convegno di studi di filologia italiana nel centenario della Commissione per i testi di lingua (Bologna, 7-9 aprile 1960), Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1961, 335-348.

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