GIOVANNI DA SPILIMBERGO

GIOVANNI DA SPILIMBERGO (1370 - 1455)

rettore di scuola, umanista

Immagine del soggetto

Biglietto autografo di Giovanni da Spilimbergo del 1446 (Udine, Archivio capitolare, 'Quaternus delitorum Jacobi Francisci can. Utinensis', f. 74r).

Nacque attorno al 1380, dato che l’11 gennaio 1398 gli venne accordato uno stipendio di coadiutore nella scuola di Udine, probabilmente ad Aurava, località poco distante da Spilimbergo, rammentata nell’epistola del 1429 a Franceschino Pancera da Zoppola. Si può presumere che abbia studiato negli anni giovanili a Udine con Giovanni Conversini da Ravenna, titolare della cattedra fino al 1392, quando assunse l’incarico a Padova, e con Antonio da Perugia, che cessò l’attività nel 1398. Potrebbe aver completato la sua formazione notarile a Padova, com’era consuetudine tra i maestri friulani. Il suo lungo magistero si distese cronologicamente dal 1398 al 1454 nelle sedi di Belluno (1401-04; 1409-13; 1421-26), Cividale (1430-33), Udine (1398-1401; 1404-09; 1418-21; 1426-30; dal 1433 in poi): le rispettive delibere del consiglio della comunità udinese consentono di definire, con qualche scarto, la successione degli incarichi e i tormentati patteggiamenti di stipendio. Non ci sono elementi, invece, per fissare il presunto impegno didattico a Venezia. Fra gli allievi: Guarnerio d’Artegna, al quale G. restò legato per tutta la vita e con il quale condivise il disegno della raccolta di codici, Odorico, nipote di Franceschino Pancera, e Giacomo da Udine. Nell’aprile del 1428 sposò Bartolomea, figlia del veronese Costantino Giuseppi, che si era da poco stabilito con la famiglia a Udine. Era cugina, per via paterna, di Taddea, moglie di Guarino Veronese, il quale, il 19 agosto 1430, quando G. aveva già accettato la nomina di “rector scholarum” a Cividale, si rallegrava che il maestro, reduce da un brutto incidente, fosse «incolume» insieme con la moglie e il figlioletto. ... leggi Si tratta del primogenito Marco, copista tra il 1448 e il 1452 di tre codici guarneriani (66, 68, 88) e del Bodl. Lat.class.d. 27 conservato ad Oxford. Si sa per certo che G. ebbe almeno un altro figlio, quel Sempronio che cercò di difendere dall’accusa di furto mossagli da Guarnerio nel 1440. Nel 1452 G., facendo leva sulla prole numerosa da sostenere (verosimilmente più numerosa di quanto risulti dalle carte), invocava l’aiuto di Francesco Barbaro perché non gli fosse alienato un piccolo fondo situato a magagna «pro liberorum meorum numero valde necessarius». Sebbene nel 1448, rimasto vedovo, avesse ereditato altre terre dal suocero, e non avesse mai sospeso la sua attività di docente, G. era angustiato dalla penuria di mezzi ai limiti dell’indigenza. Lasciò la cattedra per motivi di salute quando il consiglio della comunità udinese, il 30 settembre 1454, decise di affidarla a Francesco Diana che si impegnò ad assumerla il 31 gennaio 1455. Nella seduta del 14 novembre 1454 si discuteva ancora sull’affitto dell’abitazione che gli avevano concesso quando era in servizio. Morì poco dopo, il 6 febbraio 1455. La sua produzione letteraria, ascrivibile ad un arco di tempo tra il 1418 e il 1452, per lo più inedita e tramandata da manoscritti guarneriani, annovera tre operette, poco più che appunti, di carattere didattico, tre prolusioni ad altrettanti cicli di lezione, trentacinque epistole (comprese due su commissione: una in vece del tutore Franceschino Pancera per il luogotenente Leonardo Giustinian e l’altra “gratulatoria” a nome della comunità di Udine per l’elezione di Ludovico della Torre a gran maestro dell’ordine dei cavalieri di Malta) e cinque orazioni. Al suo alacre magistero, ispirato, nel solco della tradizione con cauti tentativi di rinnovamento, a quello di Gasparino Barzizza, riconducono il De orthographia, manoscritto nel Guarner. 140; gli Exordia (con note su preposizioni e formule retoriche) copiati dall’allievo Luigi di Antonio Belgrado nel 1450, manoscritto 228 del fondo Fontanini della Biblioteca di San Daniele; il commento adespoto a sette delle otto commedie antiche di Plauto, esemplato nel manoscritto Guarner. 111; le brevi introduzioni a corsi su Sallustio (Guarner. 141, di mano di Guarnerio e “in littera antiqua” nel Guarner. 97), sulla Pro Milone ciceroniana (Guarner. 140) e sulla retorica (Guarner. 140, datata 1442). Il suo carteggio, databile tra il 1418 e il 1452, con la concentrazione nel 1432 di ben nove epistole, documenta il singolare carisma del maestro attorno al quale si imperniò la vita culturale friulana della prima metà del Quattrocento, destinatario privilegiato di giovani allievi, letterati di chiara fama e politici veneziani. La silloge, del tutto fortuita, poiché le missive rimaste sottintendono una corrispondenza ben più fitta, lascia scorgere un sottile filo conduttore che si snoda parallelo alla vicenda umana: il desiderio, quasi un impellente bisogno, di contatti con personalità di elevato profilo. Le prime due epistole a Paolo Dal Molin, tra il 1418 e il 1421 (per l’accenno alla recente scomparsa di Francesco Zabarella e al magistero padovano di Gasparino Barzizza), e a Bartolomeo Zabarella, tra il 1421 e il 1424, rinviano chiaramente alla cerchia di intellettuali veneti. Un manipolo di lettere di cui restano solo otto, chiosate dal breve messaggio del 21 settembre 1432 di Guarino Veronese entrato finalmente in possesso del codice Orsiniano di Plauto, accerta l’amicizia con Guarino al quale G. aveva osato rivolgersi col pretesto dell’acquisita parentela nel 1428. Lo scambio, connotato all’inizio dal tono deferente (e adulatorio) di circostanza e segnato dalla difficoltà di rapporti di G. col suocero Costantino Giuseppi, concittadino di Guarino, trova nuova linfa nell’interesse per la didattica. L’insistente richiesta da parte di G. di appunti sul commento guariniano alle commedie “antiche” di Plauto e di suggerimenti per l’esegesi di opere ciceroniane denuncia un provincialismo al quale Guarino replica frettolosamente suggerendo di rivolgersi al comune discepolo Giovanni da Lodi: «Sunt enim nonnulli, qui me iamdiu non tam adhortentur, quam paene urgeant, ut octo illas Plauti comaedias legerem, quibus publice exponendis tu apud nostros primus et cum laude auctor extitisti […]. Praeterea, si apud te aliquid in Epistolas Ciceronis aut in libros de Tusculanis quaestionibus esset presidii […]». La maggior parte delle epistole del 1432 indirizzate a G. allora residente a Cividale, dove insegnava dal 1430, sono di Sebastiano Borsa, segretario di Leonardo Giustinian, luogotenente in terraferma per quell’anno, e di Bernardo Giustinian. Quelle del Borsa documentano il prestito di traduzioni delle Vite di Plutarco: «Vitas e Plutarcho traductas ad te remitto, quas liberalitate tua mihi misisti. Eo quidem pacto accipies, ut extemplo volumen aliud ad me perferendum cures et cum eo Vitam Phocionis, quam a te peto nomine praesidis, si forte e volumine ipso divisam habes» (9 settembre). Per l’avvicendamento dei fascicoli manoscritti era stato eletto a tramite il suocero Costantino, che evidentemente faceva la spola tra le due località per far visita alla figlia. Scrive il Borsa l’11 settembre: «Heri cum Vitas illas e Plutarcho traductas Constantino socero tuo, viro optimo, ex ordine praetoris nostri dare debuissem ut volumen aliud ad te referret, quo Vitam Phocionis ipse videre cupit, non potui mandatis viri clarissimi satisfacere». Anche Bernardo Giustinian ricorda le Vite di Plutarco (2 ottobre) e sollecita la restituzione delle traduzioni che il padre Leonardo aveva eseguito molti anni prima: «Unum a te peto et quod nostra fretus benivolentia ut volumen Vitarum e graeco traductarum illud, scilicet Cimonis et Luculli Vitae, ad me confestim mittas, si tamen illud tibi pauculo tempore opus non fuerit». In seguito si diffonde (13 ottobre) in attestazioni di stima e gratitudine per il maestro che aveva steso un’orazione per il conferimento della luogotenenza di Leonardo Giustinian: «Laudes vero suas [sc. Leonardi], quas ita ampla oratione complexus es, etsi iure nullo modo sibi attribuendas censet, facile tamen prospectum habet animum tuum erga se, qui tanta de eo ex abundanti amore praedicaris». Altre due epistole di quegli anni (4 settembre 1430 e 28 marzo 1432) accompagnano l’invio di opuscoli a G., come atto di omaggio: sono quelle di Pietro Del Monte, allievo a Venezia di Guarino Veronese tra il 1414 e il 1419, che condivideva con il maestro friulano la stima per Guarino e la collaborazione del giovane Giacomo da Udine. La successiva corrispondenza con Poggio Bracciolini, documentata da tre epistole, si snoda dal 31 dicembre 1437, quando G. esprime la propria gratitudine per le Invectivae in Vallam, manoscritte nel Guarner. 144, recapitate da Guarnerio, intervenuto prima del 2 maggio 1438 a qualche seduta dei lavori del concilio di Firenze. In quella data infatti Poggio inviò in Friuli, da Ferrara, dove si era temporaneamente trasferita la sede del concilio, due epistole: l’una diretta a Guarnerio, l’altra a G., per accompagnare una copia della Controversia su Cesare e Scipione, con i testi suoi e di Guarino Veronese, probabile antigrafo del Guarner. 81, f. 140r-186r. Lo scambio è concluso dallo stringato biglietto da Firenze del 6 maggio 1439 col quale Poggio ringrazia il maestro friulano di un piccolo dono e rammenta il giovane Giacomo da Udine al suo servizio. Altre due lettere, entrambe datate 4 febbraio 1440, a Giacomo da Udine e a Tommaso Della Torre, due giovani friulani collaboratori di Poggio, danno l’opportunità di rinnovare l’ammirazione per il celebre personaggio, oltre a tramandare un curioso aneddoto sul viaggio oltralpe di Guarnerio. Tra il 1448 e il 1452 si collocano infine le tre epistole che caratterizzano il rapporto tra Francesco Barbaro e G., nelle quali le espressioni deferenti si intrecciano con richieste personali di consiglio e di aiuto. Di G. restano inoltre cinque orazioni, dettate da occasioni specifiche: intessute di frasi retoriche e lodi iperboliche attestano l’abilità oratoria e il prestigio acquisito. Quattro sono databili con sicurezza per il riferimento ad eventi storici: una del 1421, Iohannis Spilimbergensis ad Marcum Lipomano virum clarissimum et Latinarum, Grecarum et [H]ebraearum litterarum peritissimum, praetorem civitatis Bellunensis, de congratulatione sue praeture oratio incipit; il Proemio alla nuova edizione delle Costituzioni del parlamento friulano voluta dal luogotenente Marco Dandolo nel 1429; l’Oratio clarissimi viri Iohannis Spilimbergensis in Leonardum Iustinianum (in Anecdota), per l’assunzione della luogotenenza a Udine di Leonardo Giustinian nel 1432; quella del 1449 per il commiato di Francesco Barbaro allo scadere del medesimo incarico: Clari et doctissimi viri Iohannis Spilimbergensis oratio de laudibus illustris viri Francisci Barbari locumtenentis nomine totius provinciae Foroiuliensis. Incerta la datazione dell’Oratio magistri Iohannis Spilimbergensis ad Eugenium papam IIII: nonostante la formula di congedo lasci intendere che G. si sia prostrato davvero ai piedi del pontefice e abbia pronunciato l’orazione per ottenerne il favore («Ego sanctissimis pedibus tuis me, liberos, res meas omnes, quas aut natura aut fortuna carissimas suscepi, prompte et libere sudicio; divinae igitur clementiae tuae erit me et res meas omnes, quemadmodum cumulatae, spero, pro optima saltem illa cardinalis tui Aquilegiensis memoria, commendatos suscipere. Dixi»), e l’esplicito ricordo del cardinale Antonio Pancera, scomparso il 3 luglio 1431, imponga di collocarla alcuni mesi dopo l’elezione al soglio pontificio di Eugenio IV (3 marzo), l’allusione ai figli e ai beni, comunque ottenuti, richiama, per il tenore delle espressioni, le due epistole inviate nel 1440 ai due destinatari friulani al servizio di Poggio presso la curia papale, all’epoca confinata a Firenze.

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Bibliografia

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