BIAVASCHI GIOVANNI BATTISTA

BIAVASCHI GIOVANNI BATTISTA (1878 - 1957)

avvocato, politico, filosofo, del diritto, docente

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L'avvocato e filosofo del diritto Giovanni Battista Biavaschi.

Nacque a Gordona (Sondrio) il 2 febbraio 1878 da una famiglia benestante di agricoltori. Studiò presso la scuola dei salesiani a Torino, presso un collegio ad Ascona (Svizzera), e trascorse un anno di studio negli Stati Uniti, a New York, per poi addottorarsi cum laude in “utroque jure” a Friburgo (Svizzera) nel 1907, presentando una tesi sull’origine dell’obbligatorietà delle norme. Negli ultimi anni di studio universitario si era impegnato nelle attività del movimento cattolico studentesco, recandosi spesso, per questo, dalla Svizzera a Milano. Nel 1907 si trasferì ad Udine, su invito dell’esponente del movimento cattolico friulano avvocato Giuseppe Brosadola, per ricoprire la carica di direttore del Segretariato del popolo, organo dell’associazionismo cattolico. A Udine sposò Maria Micoli e si stabilì definitivamente. Nel 1910 ottenne l’equipollenza della laurea in giurisprudenza presso l’Università di Padova, discutendo una tesi sul problema dell’autorità civile. Poté iniziare così la libera professione a Udine, affiancandola al costante impegno nell’associazionismo cattolico. Nel 1915 ottenne la libera docenza presso l’Università di Padova, nonostante l’avversione delle forze liberali e positiviste, opposte alla sua impostazione metafisica vicina alla neo-scolastica. Nel 1921 fu eletto deputato del Regno nelle fila del Partito popolare, ma all’avvento del fascismo abbandonò l’attività parlamentare e partitica, per mantenere il suo impegno sociale solo nel movimento cattolico. Si dedicò in particolare alla gestione e allo sviluppo delle casse rurali ed artigiane (fu fra i promotori della federazione delle casse in vere e proprie banche), all’editoria cattolica, all’organizzazione dell’associazionismo a livello diocesano, attività che gli valsero, nel 1925, la commenda di S. Gregorio Magno, conferita dal Papa. ... leggi Nel 1933 gli venne offerta ufficialmente la cattedra di filosofia del diritto dall’Università di Padova, ma al momento della nomina gli fu posta come condizione l’adesione al Partito nazionale fascista. B. rifiutò, perdendo così la prestigiosa e tanto attesa occasione di carriera. Continuò però l’attività di libera docenza e di ricerca, intrattenendo rapporti stretti con alcuni dei principali esponenti della cultura filosofica e giuridica del suo tempo: Luigi Stefanini, Giovanni Bertacchi, Erminio Troilo, Umberto Padovani, Francesco Carnelutti, Giorgio Del Vecchio. Negli ultimi decenni della sua esistenza si intensificò la sua comunque sempre fervente vita spirituale, e pubblicò alcune opere di carattere devozionale. Morì a Udine il 6 marzo 1957. Studiando a Friburgo nei primi anni del Novecento, B. si era formato nel cuore della ripresa del tomismo giuridico in chiave anti-positivista, da una prospettiva che lo metteva in diretto contatto con le culture tedesca, italiana e francese. In Origine della forza obbligatoria delle norme giuridiche, sua tesi dottorale, affronta un problema urgente per il positivismo, che dimostra come fosse stato indirizzato dai suoi maestri al cuore della problematica giuridica: come spiegare il dato d’esperienza per cui l’autorità politica esiste e il suo volere, espresso nella legge, viene comunemente rispettato? B. considera analiticamente cinque tipi di risposte che sono state date a questa domanda nel corso della storia della filosofia occidentale: per alcune teorie la forza delle norme origina da caratteristiche del potere che le emana (assolutismo, contrattualismo, teorie della sovranità popolare, storicismo), per altre da caratteristiche intrinseche delle stesse norme (diritto naturale razionalistico, il razionalismo soggettivista di Kant, il razionalismo collettivista, le teorie dell’interesse), per altre ancora da una separazione netta tra morale e diritto, per altre dall’esistenza di un’autorità legittima naturale che deve sottostare ad un ordine di giustizia oggettivo (la concezione classica di Platone, Aristotele e san Tommaso), per altre dalla sola forza di chi emette il comando. La conclusione cui B. giunge, attraverso una disanima per il tempo aggiornata e informata delle principali correnti trattate, è che l’unica prospettiva accettabile è quella classica, che lui interpreta con l’ausilio degli esponenti del tomismo di allora, in particolare Matteo Liberatore e Luigi Taparelli: il diritto non va confuso con la morale, ma è una parte ineliminabile di essa e non può essere da essa separato, per cui ne risulta che l’autorità politica è una naturale conseguenza dell’ordine della realtà e che la sua azione deve essere conforme a tale ordine. Tale ordine non si spiega se non in riferimento all’intelligenza divina ordinatrice. La tesi presentata a Padova, Il problema dell’autorità civile nel diritto pubblico vigente, poi pubblicata a Udine, affronta un tema diverso ma complementare rispetto al lavoro che l’ha preceduta, e permette all’autore di trattare ed approfondire problemi prima solo intravisti. Discute tre concezioni dell’autorità civile: quella materialistica (che può essere dinamica, evolutiva, edonistica o basata sulla volontà generale), quella razionalistica (che può essere anarchica o basata sull’autonomia assoluta kantiana), e quella teocratica (che pone in Dio l’origine e nell’ordine da lui dato al creato, cioè nella giustizia, il fine del potere civile, ma lascia la sua «determinazione concreta», ad una «persona fisica o morale»: cfr. p. 98). Il confronto filosofico tra le tre posizioni porta l’autore a concludere che in Dio e per Dio «si spiega la natura sociale dell’uomo; in Lui la nozione del potere trova il suo vero significato», mentre l’uomo che «non riconosce nulla al di sopra di se stesso, che nella natura non vede altra volontà e altra intelligenza se non la volontà e la ragione umana, non può [fare] a meno che proclamare se stesso norma suprema e decisiva di ogni cosa» (113), cosicché unica fonte di obbligazione sarà la forza, «unico assioma sarà la lotta di tutte queste individualità assolutamente sovrane, contro tutti, unica conseguenza che l’obbligazione non sarà più ciò che l’uomo ‘deve’, bensì ciò che impunemente può ‘fare’» (114). Quest’opera, rispetto alla prima, rivela una considerevole maturazione filosofica, in quanto l’autore apertamente e consapevolmente confuta dialetticamente le posizioni diverse dalla sua per stabilire solidamente, al di là di ogni opinione, la propria conclusione (4 e 5). In La crisi attuale della Filosofia del diritto, un ampio studio uscito in due edizioni piuttosto diverse nel 1913 e nel 1922, B. cerca di opporsi alla tendenza, a suo avviso pericolosa, del pensiero a lui contemporaneo di separare il diritto dalla morale: ne ritrova le radici nel fenomenismo kantiano e nel panteismo idealista, per poi riconoscerne i frutti nel positivismo giuridico e nel formalismo; contrappone, nella seconda parte del volume, una concezione elaborata e filosoficamente solida del diritto naturale, ispirata a san Tommaso d’Aquino, e attenta a delucidare i rapporti di distinzione e continuità del diritto naturale con il diritto positivo, da una parte, e con la morale, dall’altra. In La concezione materialistica della storia, prolusione pubblicata del corso tenuto nel 1920, B. critica la visione marxista che pone negli interessi individuali e di classe il motore unico del divenire sociale. Vede in questa posizione lo svolgimento in chiave materialistica dello stesso principio panteista che aveva operato in Hegel, e argomenta contro di esso sostenendo che non si spiegherebbero le istituzioni politiche e giuridiche che si sono dispiegate nella storia umana se si ammettesse il solo principio d’interesse: solo il rimando ad una legge morale inscritta nell’uomo e ivi posta da un’Intelligenza ordinatrice, secondo l’autore, può dar conto dei fenomeni giuridici e politici. Nel 1923 pubblica la terza edizione di La Moderna Concezione Filosofica dello Stato, le cui prime edizioni erano uscite, con un titolo leggermente diverso, nel 1918 e nel 1919. Si tratta di un libro corposo, che affronta le questioni filosofico-politiche relative alla natura, agli scopi e ai limiti del potere dello Stato, e nel quale viene presentata una difesa teoretica della concezione politica legata al diritto naturale classico, in opposizione alle visioni naturalistiche tipiche della modernità, che, sia nelle forme materialistiche, sia nei tentativi di fondazione trascendentale, non riescono a dar conto dei fenomeni politici, della naturale e ineliminabile tendenza giuridica e politica dell’uomo. A fronte del prevalere della visione positivistica, B. proclama la necessità di riaffermare la dignità umana, comprensibile solo in relazione ad un fine trascendente dell’uomo e, quindi, nel contesto di una metafisica teleologicamente orientata. Solo questi principi danno conto, secondo lui, dell’agire politico e giuridico umano, permettendo così di sciogliere i nodi urgenti relativi ai rapporti dello Stato con l’individuo, la famiglia e la società, e permettendo di comprendere il vero senso della libertà e dell’uguaglianza tra gli uomini. Il possente Saggio intorno ai più vitali problemi del magistero punitivo, di circa settecento pagine, uscì nel venticinquesimo anniversario della libera docenza, nel 1940. L’opera propone una solida discussione della pena e della sua giustificazione, che, movendo da considerazioni metodologiche (parte prima) volte a riaffermare un genuino realismo metafisico contro il fenomenismo, l’empirismo e il positivismo dilaganti al tempo, espone e sostiene la concezione classica in via confutatoria, attraverso una critica dialettica delle concezioni della pena delle principali scuole giuridiche moderne (seconda parte), dal giuspositivismo all’umanismo, dal criticismo all’attualismo, per poi esporre in modo compiuto e fondare metafisicamente la dottrina penale classica (terza parte). Secondo B., il fine della pena «non è tanto la emenda del reo, o che il danno sia risarcito, che giustizia sia fatta o vendicata l’offesa, che il reo espî la pena per il suo delitto, o che incuta un salutare timore nei cittadini»; piuttosto, «in quanto l’uomo nel compiere un’azione si ripromette un bene vero od apparente, affinché la pena ottenga il suo proprio scopo occorre che, alla quantità di bene che l’individuo si ripromette dal delitto, contrapponga una maggiore quantità di male per così distoglierlo dal proposito di violare la legge, di ledere l’altrui diritto. [La pena] opera salutarmente per l’ordine sociale, in quanto, ai motivi disordinati e criminosi, contrappone dei motivi retti e giusti» (460). Nella terza parte, B. propone una difesa teoretica di questa concezione della pena, ritrovandone le radici speculative nella metafisica dell’azione e della persona di san Tommaso, in un dialogo critico costante con le istanze portate dagli autori moderni e da quelli a lui contemporanei. Il diritto naturale nel moderno pensiero filosofico-giuridico è un volume di oltre seicento pagine, che fu pubblicato nel 1953 e presenta il pensiero maturo e compiuto di B. Il lavoro si divide in due parti: la prima è un’ampia “pars destruens” che discute e confuta le posizioni prese nei confronti del diritto naturale da parte delle principali correnti filosofiche moderne. Critica innanzitutto la tradizione contrattualistica nella sua espressione più matura, Rousseau, del quale smaschera l’impostazione ipotetica e infondata, mostrando che, al di là dei molti, vacui tentativi di “recupero”, essa porta alla sovversione dell’ordine giuridico e sociale; critica poi le dichiarazioni dei diritti, focalizzandosi su quella della Rivoluzione francese e su quella dell’ONU, per argomentare che esse possono raggiungere il fine che si prefiggono solo se si riconosce che i diritti dipendono dalla natura spirituale dell’uomo, ossia dal suo essere «ad immagine di Dio»; passa quindi all’etica kantiana, per sostenere che il criticismo di Kant snatura la nozione di dovere, precludendosi quindi la possibilità di salvare e nobilitare la persona umana; critica poi i tentativi edonistici e sociologistici di dar conto del diritto senza ricorrere al diritto naturale, totalmente incapaci di spiegare la normatività; analizza l’esistenzialismo, nelle forme più diffuse (corrente teologica, corrente fenomenologica, Heidegger, Sartre), per mostrare che confondono l’esistere e l’essere, che san Tommaso aveva opportunamente distinto; discute la posizione di Francesco Carnelutti, riconoscendogli il merito di vedere i limiti del positivismo e di superare l’empirismo nella direzione del diritto naturale, anche se gli obietta che il suo rimane un diritto naturale incompleto; critica quindi l’idealismo di Giovanni Gentile e di Benedetto Croce, incapaci di cogliere il riferimento al bene comune che è sotteso a ogni possibile delineamento di una razionalità nella scelta e nell’azione politica; sostiene quindi che il formalismo giuridico, con le aporie che apre, mostra, gradualmente, la necessità di un ritorno al diritto naturale; considera, infine, la posizione di Giorgio Del Vecchio, al quale, nonostante qualche riserva, riconosce il merito di aver saputo riaffermare la relazione tra morale e diritto, riaprendo così la possibilità del diritto naturale. La seconda parte del volume è principalmente costruttiva: offre una fondazione teoretica organica del diritto naturale, sondandone i presupposti metafisici, nella filosofia classica dell’essere, e i presupposti dottrinari, nella teoria del diritto; discute la nozione di fine, necessaria per dar conto tanto dell’azione umana, quanto dell’etica e della giuridicità; espone la nozione di diritto naturale, che riprende dalla formulazione classica di san Tommaso d’Aquino; analizza il rapporto stretto che intercorre tra il diritto naturale e la sua espressione nel diritto positivo; discute il legame inscindibile che unisce il diritto alla morale; discute il modo in cui l’etica del diritto naturale configura la questione dell’ordine nuovo, determinando i fini dell’azione dello Stato di fronte alla questione sociale, fini riconoscibili nella necessità della protezione della persona, del presidio della famiglia e della promozione del culto, anche sociale, a Dio; sostiene quindi che la vera pace e la vera giustizia possono essere raggiunti solo sulla base del fondamento etico oggettivo; conclude la trattazione discutendo il ruolo del diritto naturale nel contesto della comunità internazionale e vagliando l’opportunità di una sua codificazione. Complessivamente, la produzione di B. rivela un pensatore fine, consapevole di tutte le problematiche teoretiche, giuridiche e politiche che si stavano manifestando nel pensiero europeo del tempo, e capace di un contributo forte per il vigore del ragionamento e originale per la capacità di ripensare argomentazioni classiche in risposta a questioni emerse nel suo tempo. La sua fedeltà alla tradizione metafisica classica e al magistero della Chiesa cattolica gli impedì di cogliere i successi che gli sarebbero spettati, quando imperversava l’impronta fascista; ma anche alla fine del fascismo, nell’epoca in cui sembrava prevalere la cultura cattolica, il suo lavoro non ricevette l’attenzione che meritava, forse perché la sua fedeltà alla metafisica classica acquistava allora il sapore della diffidenza verso la modernità, proprio mentre ampia parte dell’associazionismo e della cultura cattolica finiva per concepire la propria attività come processo di aggiornamento e di adattamento ai tempi.

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Bibliografia

G. BIAVASCHI, Origine della forza obbligatoria delle norme giuridiche, Udine, Tip. del Crociato, 1907; ID., Il problema dell’autorità civile nel diritto pubblico vigente, Udine, Tip. del Crociato, 1910; ID., Intorno alle origini del potere civile, «Rivista di Filosofia Neo-scolastica», 8/3 e 8/4 (1916), 287-304 e 373-387; ID., L’origine del potere civile e la filosofia cristiana, ibid., 8/5 (1916), 455-468; ID., La concezione materialistica della storia, Udine, Stabilimento tipografico San Paolino, 1920; ID., La crisi attuale della Filosofia del diritto, Milano, Vita e pensiero, 19222; ID., La moderna concezione filosofica dello stato, Milano, Vita e pensiero, 19233; ID., Che cos’è l’autorità?, Milano, Vita e pensiero, 1925; ID., La concezione della natura in G. B. Vico nel IIo centenario della Scienza Nuova, Milano, Vita e pensiero, 1925; ID., Varie difficoltà contro il Diritto Naturale, in Festgabe Ulrich Lambert zum sechzigsten Geburstage am 12 Oktober 1925, Friburgo (Svizzera), Universitätsbuchhandlung, 1925; ID., Gli impedimenti e il potere legislativo del matrimonio, Milano, Vita e pensiero, 1926; ID., L’imitazione di Cristo, Udine, AGF, 1936; ID., Saggio intorno ai più vitali problemi del magistero punitivo, Milano, Vita e pensiero, 1940; ID., Commemorazione dell’Avv. Comm. Giuseppe Brosadola, Udine, AGF, 1943; ID., Il diritto naturale nel moderno pensiero filosofico-giuridico, Udine, AGF, 1953; ID., Pietà Eucaristica, Udine, AGF, 19553; ID., Pietà Mariana, Udine, AGF, 1956.

T. TESSITORI, Storia del movimento cattolico in Friuli, Udine, Del Bianco, 1964; T. FRESCHI BIAVASCHI, Sotto il segno di una spiga, Udine, AGF, 1988.

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