DE CANEVA NICOLÒ

DE CANEVA NICOLÒ (1726 - 1782)

ecclesiastico, rimatore

Nacque a Liariis da Daniele di Giovanni e da Margherita di Marco, pure De Caneva, il 23 aprile 1726; si ignora la data della sua consacrazione sacerdotale (tuttavia la dote ecclesiastica venne rogata il primo agosto 1747); fu vicario sostituto di Francesco Benedetti, pievano di Invillino, certamente già nel 1770, e suo successore dal 19 maggio 1776 fino al 16 giugno 1782, anno della sua morte. È considerato autore di una “raganizza” di quaranta quartine di ottonari, pubblicata da Vincenzo Joppi nel 1878 col titolo La Ricetta. Strofe del secolo XVIII, attribuite a un prete De Caneva, di Liariis in Cargna, e ripubblicata nel 1893 su «Pagine Friulane». Numerosi esemplari settecenteschi divulgano il componimento; in esso sono passati in rassegna i principali vizi del secolo che allignano presso tutte le classi e le istituzioni sociali (preti «mondani», frati ghiottoni, gesuiti simoniaci, soldati e marinai bestemmiatori, tribunali corrotti, osterie luoghi di perdizione). Non diversa nei contenuti doveva essere l’omiletica moraleggiante allora in auge; ma la critica dei costumi non si fa critica sociale; anzi, la presente decadenza viene saggiata al paragone del buon tempo andato. Le strofe d’inizio, in lode appunto dei tempi passati («Alla buina di una volta / Chiaminava il mond sancir, / E cumò dutt si stravolta / E nissun ha un bon pinsir // Benedetta l’antigaia, / Benedett il timp passat, / Malignada sei la vraja / Che il forment ha dissipat!») sono diventate celebri e sono entrate a far parte della tradizione popolare, eseguite in forma di villotta. Benché i manoscritti coevi siano concordi nell’attribuire al D.C. la “raganizza” (così, ad esempio, in Archivio privato Morassi: Chianzonette composte dal Rev. ... leggi Don Nicolò de Caneva di Liarijs fu poi pievano d’Invillino), una versione pure manoscritta inviata da Giovanni Gortani a Joppi, è accompagnata da una lettera («Arta, 12 agosto 1878»), in cui il testo viene attribuito a «tal Bertuzzi quì di Piano, poetucolo dello scorso secolo, di cui restano in bocca ai villani alcune strofe diverse di qualche altro canto». Dunque, nel corso di cent’anni, le strofette di don Nicolò sono state assimilate, tramandate, trascritte, sono diventate patrimonio comune, sono state adattate a villotta, e se ne è dimenticato l’autore. Si documenta, in questo modo, un’origine colta, una trasmissione discendente, un’estrapolazione ridotta del testo poetico originale, un avvio settecentesco di una villotta in radicale contrasto con l’immagine tradìta: vale a dire, con l’origine popolare, la trasmissione ascendente, il modello canonico lirico-monostrofico di quartine di ottonari, un avvio patriarchino e quant’altro la ricerca nazionalista ha creduto di dover fissare in questo campo.

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Bibliografia

Archivio parrocchiale di Ovaro, Liber Baptizatorum 1722-1778, n. 110; Archivio plebanale di Invillino, Registri canonici, Morti 2, f. 48r; BSAU, Biasutti, Schedario alfabetico, ad vocem; mss BCU, Joppi, 435; Ibid., Principale, 377; ms Biblioteca museo Gortani Tolmezzo, Morassi, 36, f. 6.

JOPPI, Testi inediti, 185-342; Contro i tempi corrotti, «Pagine friulane», 6/2 (1893), 37-38; M. TOLLER, Villa Santina ed Invillino con le filiali, Udine, Filacorda, 1970, 142; G.P. GRI, La villotta, in Il Friuli-Venezia Giulia, a cura di R. FINZI - C. MAGRIS - G. MICCOLI, Torino, Einaudi, 2002 (Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi), 1308-1312.

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