PAOLO DI NICOLETTO

PAOLO DI NICOLETTO (? - 1429)

agostiniano, teologo, filosofo

Immagine del soggetto

Paolo di Nicoletto in cattedra (Venezia, Biblioteca nazionale marciana, ms. Lat. VI, 123 [2464], f. 162v).

Come per la maggior parte dei protagonisti della vita intellettuale nell’epoca di mezzo, anche per l’udinese P. di N., più noto come Paolo Veneto, disponiamo di poche informazioni sicure relative alle sue origini. Nacque certamente a Udine, negli anni intorno al 1370, da Nicoletto del fu Antonio di Venezia, stabilitosi nel capoluogo del Friuli per lo meno dal 1352, quando fece richiesta della cittadinanza, ottenuta il 21 marzo 1361. Il nome della madre, Elena, privo peraltro di ulteriori informazioni, ci perviene da un’indicazione di Antonio Joppi, a tutt’oggi comunque non suffragata da prove documentarie. Uno tra i suoi primi biografi, il notaio cividalese Marcantonio Nicoletti (1536-1596), lo ascrive alla propria famiglia, che deriverebbe da un Nicoletto la cui sepoltura, nel chiostro domenicano di S. Pietro Martire, risalente al tempo del patriarca Antonio Caetani, era ornata di un’iscrizione con le insegne nobiliari. Antonio Joppi identifica quest’iscrizione, in seguito andata perduta, con quella descritta in una nota manoscritta in calce ad un’edizione latina di Platone, relativa ad un «Nicolettus de Broio auctor de Venetiis». Secondo questa linea di eruditi, dunque, P. sarebbe membro della nobile famiglia dei Nicoletti di Udine, poi di Cividale, le cui vicende furono ricostruite da Francesco di Manzano nel 1894. Probabilmente negli anni intorno al 1383 P. fu accolto nell’ordine degli Eremiti di S. Agostino, presso il convento di S. Stefano a Venezia. Qui egli compì il suo noviziato e la prima formazione culturale sino al 9 dicembre 1387, quando il priore generale dell’ordine Bartolomeo da Venezia lo assegnò come studente al convento dei Ss. ... leggi Filippo e Giacomo di Padova, sede dello “studium generale” della provincia della Marca Trevigiana. Di lì a pochi anni, il 31 agosto 1390, il priore generale destinò P., insieme con il cugino più anziano Paolo Francesco da Venezia, come studente “de gratia” (cioè a spese della provincia, e non dell’Ordine), allo “studium generale” di Oxford, per intraprendere il percorso di studi avanzati che doveva condurlo al magistero in teologia. In quegli anni lo scisma d’Occidente aveva infatti reso difficile per gli studenti italiani il compimento degli studi superiori presso l’università di Parigi, di obbedienza avignonese: pochi anni prima lo stesso Bartolomeo da Venezia aveva in effetti precluso formalmente questa possibilità agli studenti agostiniani. Durante il triennio di permanenza ad Oxford P. ebbe la possibilità di conoscere ed approfondire gli sviluppi più recenti ed avanzati dell’insegnamento filosofico e di quello logico in particolare. Tornato a Padova, sempre insieme al cugino, mise a frutto questa esperienza nel corso del suo insegnamento come “cursor”, probabilmente dal 1393 al 1396, e poi come “lector”, sino al 1401. Risale a questi anni la composizione delle sue opere logiche più fortunate, la Logica parva e la Logica magna. La prima, diffusa ancor oggi in oltre 80 codici e in 25 edizioni a stampa, è un manuale sintetico, ma molto aggiornato, composto sul modello dei manuali inglesi contemporanei, che arrivò negli anni a contendere il primato nel settore alle duecentesche Summulae logicales di Pietro Ispano e fu persino reso obbligatorio nel curriculum universitario padovano dal Senato di Venezia nel 1496. La seconda, molto più estesa, conobbe invece una diffusione assai più limitata, anche perché, rivolgendosi agli specialisti, forniva un panorama approfondito e molto dettagliato di tutte le più recenti dottrine logiche. Testimonianza in quegli stessi anni (1396-1397) dell’interesse immediato che le novità importate da P. seppero suscitare si riscontra nel carteggio di Pietro Tomasi, studente a Padova e poi “magister” di filosofia a Pavia, che si rivolse al suocero Gian Ludovico Lambertazzi, professore di diritto presso lo studio padovano, e allo stesso Paolo Francesco di Venezia per ottenere copie delle due opere ancora in corso di redazione. Fu con tutta probabilità a Padova che P. trascorse i primi anni del XV secolo, impegnato a completare il suo curriculum accademico con un’intensa attività didattica e di studio. Frutto del suo lavoro di baccelliere in teologia fu la Super primum Sententiarum Iohannis de Ripae lecturae abbreviatio, terminata prima del 1402, mentre al suo insegnamento in arti e in filosofia (anch’esso parte dei doveri di un baccelliere in teologia) si debbono ricondurre varie opere di carattere esegetico, come le Conclusiones Ethicorum, le Conclusiones Politicorum, le Conclusiones Posteriorum Analyticorum e probabilmente anche due opere logiche come la Quadratura e i Sophismata. Il suo primo grande commento aristotelico, la Lectura super libros Posteriorum Analyticorum, fu compiuto nel 1406, quando già P. aveva ottenuto il grado di “magister artium et theologiae”. A quest’opera logica fecero seguito, rispettivamente nel 1408 e nel 1409, due opere di filosofia naturale: la Summa philosophiae naturalis e l’Expositio super Physicam Aristotelis. A partire dal 1408 troviamo il teologo agostiniano tra i promotori dello studio padovano, quindi l’inizio del suo insegnamento universitario deve essere collocato prima di questa data (in precedenza la sua attività didattica si era svolta all’interno dello studio agostiniano di Padova). Nel periodo che va dal 1408 al 1420 egli compare regolarmente, sempre nel ruolo di promotore, nei registri delle lauree padovane, con le sole eccezioni degli anni 1409, 1412 e 1419. Tra coloro, oltre una trentina, che ottennero i gradi sotto il suo magistero si annoverano i patrizi veneti Nicolò Contarini, Pietro Giustiniani e Marco Lippomano, il benedettino Giovanni Michiel, l’umanista e scienziato Giovanni Fontana. Suoi studenti furono inoltre il medico Michele Savonarola, il giurista Ludovico Foscarini e Giovanni Antonio da Imola, che gli succederà sulla cattedra padovana. Oltre a dedicarsi ad un’intensa attività accademica, in questi anni P. assunse anche responsabilità all’interno della sua congregazione ecclesiastica, cominciando da quella più elevata: il primo di maggio 1409, poco più di un mese prima di essere deposto dal concilio di Pisa, il pontefice Gregorio XII, il veneziano Angelo Correr, lo nominò vicario generale dell’ordine agostiniano. Nulla si sa della sua attività da lui svolta in questa carica e neppure se nei mesi successivi egli fosse al seguito del papa al concilio di Cividale. È noto invece che pochi mesi dopo, nel febbraio 1410, forse in conseguenza del declino politico di Gregorio XII, rassegnò il suo incarico. Nel medesimo periodo, tuttavia, P. fu anche priore provinciale della Marca Trevigiana e come tale, per ordine del Consiglio dei Dieci di Venezia, comminò il 28 agosto 1409 la pena del carcere al confratello Simone da Ancona, reo di aver continuato a sostenere il pontefice deposto a Pisa. In breve tempo le relazioni di P. con il governo della Serenissima si fecero ancora più strette: verso la fine del 1409 fu inviato come “orator” a Buda presso il re d’Ungheria e re dei Romani Sigismondo del Lussemburgo, allora diviso da un’aspra contesa con la Repubblica Veneta per il dominio della Dalmazia, con l’incarico di preparare il terreno per un’ambasceria ufficiale che doveva tentare un accordo. Il suo soggiorno presso la capitale ungherese ebbe termine nel gennaio 1410, ma nel luglio dello stesso anno il governo veneto utilizzò nuovamente i suoi servizi come ambasciatore a Ulma in Germania e presso Federico duca d’Austria e conte del Tirolo. In seguito a questi incarichi la Serenissima compensò P. con la somma di cento ducati e con il sostegno nel conseguimento della cattedra padovana retta in quel momento da Biagio Pelacani da Parma. L’anno successivo quest’ultimo lasciò in effetti lo studio padovano per quello parmense e l’agostiniano fu nominato al suo posto. Ancor più importante la missione che fu affidata a P. il 23 gennaio 1412: in un momento assai critico per la Repubblica Veneta, con le truppe imperiali di Sigismondo che occupavano il Friuli, egli fu inviato presso la corte di Ladislao Iagellone, re di Polonia, con l’incarico di fare il possibile per stabilire con la Polonia un’alleanza in funzione anti-ungherese, così da stringere Sigismondo da sud e da nord e forzarlo ad abbandonare la sua impresa italiana. Le istruzioni diplomatiche contenevano anche la raccomandazione di manifestare al re polacco la piena disponibilità di Venezia a sostenerlo, nel caso questi volesse lanciarsi a sua volta nell’avventura imperiale. P. giunse a Cracovia probabilmente a fine febbraio o inizio marzo 1412, poi a fine marzo si trasferì a Kosice, in Slovacchia, dove si trovavano re Iagellone e re Sigismondo, che avevano già firmato un accordo. Il risultato di questa prima fase dell’ambasceria fu di ottenere l’offerta da parte del re polacco di fungere da mediatore tra Venezia e Sigismondo per dirimere la questione della Dalmazia. P. rientrò a Venezia prima del 10 maggio, ma fu subito rimandato dal re polacco, in quel momento a Buda alla corte di Sigismondo, visto il credito che era riuscito a guadagnarsi presso di lui. L’agostiniano si unì quindi agli ambasciatori Tommaso Mocenigo e Antonio Contarini, che dovevano trattare la pace con Sigismondo, ma nonostante l’appoggio di re Iagellone l’iniziativa diplomatica non poté che constatare l’impossibilità di trovare uno spazio di mediazione tra i due contendenti e a fine giugno 1412 l’ambasceria fu di ritorno a Venezia. P. appariva ormai aver raggiunto in questi anni notevoli traguardi: titolare di una cattedra prestigiosa nell’ateneo padovano, ben noto negli ambienti accademici per la sua dottrina e le sue opere, autorevole rappresentante del proprio ordine, poteva per di più vantare una notevole esperienza diplomatica ed importanti relazioni a Venezia e nelle corti dell’Europa centro-orientale. La sua attività di commentatore aristotelico proseguiva inoltre alacremente: sono da ascrivere probabilmente a questo periodo, vale a dire tra il 1410 e il 1420, uno Scriptum super libros De anima, una Expositio super De generatione et corruptione e la monumentale Lectura super libros Metaphysicorum. Ma improvvisamente nel 1415 la sua fortuna accademica e politica cominciò a subire qualche contraccolpo: il 6 giugno il senato veneziano votò una censura che colpiva P., insieme con il medico Antonio Cermisone, per essersi assentato da Padova e dai propri doveri accademici senza permesso; tre mesi dopo il Consiglio dei Dieci lo invitò a discolparsi da accuse (non meglio precisate) e gli proibì di lasciare Padova senza una licenza espressa del consiglio stesso; ancora, un anno dopo, nel maggio 1416 la richiesta di P. di ottenere la licenza fu respinta e solo nel giugno dello stesso anno fu concessa, in considerazione dei doveri concernenti la sua carica di priore provinciale, ma con la condizione che non si recasse a Costanza o in altro luogo dove si fosse celebrato il concilio. Le circostanze di questi provvedimenti disciplinari non sono ulteriormente note, ma forniscono l’informazione che P. era nuovamente divenuto priore provinciale della Marca Trevigiana (lo era già dagli ultimi mesi del 1414) e soprattutto che non godeva più della fiducia di Venezia, che non lo voleva presente al concilio. Peraltro l’anno successivo il senato veneziano, con un atto certamente onorifico, gli concesse il privilegio di indossare il berretto nero dei patrizi, privilegio poi esteso, alla sua morte, a tutti i membri del convento di S. Stefano. Di lì a qualche anno, tuttavia, i rapporti di P. con il governo della repubblica veneta si guastarono irrimediabilmente. Per motivi che permangono tuttora ignoti il teologo agostiniano, nuovamente eletto priore provinciale dal capitolo dell’ordine tenuto a Ferrara nel maggio 1420, venne sottoposto ad un procedimento disciplinare da parte del Consiglio dei Dieci che si concluse in settembre con il suo bando quinquennale a Ravenna, da estendere a dieci anni qualora avesse infranto il divieto di riattraversare anzitempo i confini del dominio veneto. P. chiese ed ottenne una proroga di un mese, allo scopo di rimettere nelle mani del priore generale Agostino Favaroni le questioni connesse con la sua carica di provinciale, poi nell’ottobre 1420 fu assegnato dal generale al convento di Siena e gli fu concessa la licenza di insegnare nello studio di quella città. Da quel momento P. non rimise più piede in territorio veneziano fino ad un anno prima di morire. A Siena rimase per quattro anni; in questo periodo i suoi biografi, e per primo Cristoforo Barzizza che tenne la sua orazione funebre presso lo studio patavino, collocano un episodio in cui P. avrebbe agito come un inquisitore, sfidando e sconfiggendo in una disputa l’eretico Francesco Porcario, forse un fraticello, che finì per questo sul rogo. Il Barzizza parla a questo proposito anche di uno scritto antiereticale di P., di cui sinora tuttavia non sono state rinvenute tracce. Il 26 maggio 1422 venne designato reggente, per l’anno 1423, dello studio agostiniano di Siena; il 14 marzo 1423 redasse per la prima volta un testamento, in cui lasciava al convento padovano i suoi libri e titoli veneziani («de camera imprestitorum comunis Venetiarum»), che egli deteneva su licenza del priore generale, per il valore di mille ducati d’oro, come forma di risarcimento per i gravami e le spese che detto convento aveva dovuto sopportare per la sua lunga permanenza, nonostante il suo convento nativo fosse quello veneziano di S. Stefano. L’anno successivo, il 23 marzo 1424, P. venne assegnato al convento di Bologna, con licenza di insegnare nello studio cittadino in qualsiasi materia. Durante il soggiorno felsineo si ricorda una sua disputa con il maestro Nicolò Fava, valente filosofo e dialettico di inclinazioni dottrinali opposte a quelle di P. La sua permanenza a Bologna tuttavia non durò a lungo, poiché già nell’ottobre 1424 fu assegnato al convento di Perugia, nuovamente con licenza di insegnare presso lo studio cittadino. Gli anni successivi, a Perugia, videro P. impegnato in attività didattiche (gli fu concesso ad esempio di esaminare alcuni studenti agostiniani per il conferimento del titolo di “lector”) e nella stesura del suo ultimo commento aristotelico, l’Expositio super Universalia Porphyrii et super Praedicamenta Aristotelis, che fu completato l’11 marzo 1428. I registri dell’ordine agostiniano informano inoltre che il 3 luglio 1426 P. redasse una seconda versione del suo testamento, in cui furono aggiunti come beneficiari la sorella Lucia e il confratello e assistente Nicola da Treviso, e che il primo di agosto dello stesso anno gli fu concessa licenza di recarsi a Roma ogni volta che i suoi lavori lo rendessero necessario. Nel 1427, in occasione delle dimissioni del priore di Perugia, gli fu conferito l’incarico di reggere il convento durante la vacanza e di scegliere il nuovo priore ed inoltre a lui toccò di svolgere la funzione di visitatore presso lo stesso convento e quello di Todi. Infine, nel giugno 1428, in seguito ad una supplica fatta pervenire insieme con la raccomandazione del cardinale di S. Croce, il Consiglio dei Dieci di Venezia revocò finalmente il bando comminato otto anni prima e P. poté far ritorno a Padova e riprendere il suo insegnamento, anche se soltanto per pochi mesi, giacché il 15 giugno 1429, mentre teneva il corso sul De anima di Aristotele, morì. Oltre alle opere sopra ricordate, rilevanti soprattutto la sua attività di commentatore aristotelico e di maestro di teologia, P. lasciò anche una raccolta di Sermones quadragesimales, uno scritto antigiudaico, le Quaestiones XXII de messia adversus Judaeos, un’opera mariologica, il De conceptione Beatissimae Virginis Mariae, una versione latina della Composizione del mondo di Ristoro d’Arezzo e diverse orazioni. Secondo il giudizio di Alessandro Conti, il più recente studioso del suo pensiero, P. fu «il più importante pensatore italiano del suo tempo ed uno dei più importanti ed interessanti logici del medioevo». La sua fama e le sue opere contribuirono a fare dello studio patavino un centro intellettuale di rinomanza europea; le sue dottrine, improntate al realismo degli universali in ambito ontologico e ad una linea vicina a quella dell’aristotelismo moderato di Alberto Magno e di Tommaso d’Aquino nel campo della filosofia naturale, innescarono in Italia un dibattito scientifico i cui sviluppi condussero nel corso del XV secolo ad un rinnovamento dell’orizzonte culturale europeo.

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Bibliografia

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