PORCIA (DI) GIOVANNI ARTICO

PORCIA (DI) GIOVANNI ARTICO (1682 - 1743)

poeta drammaturgo, storiografo

Immagine del soggetto

Frontespizio della Vita di Giovanni Artico... scritta dal nipote Giuseppe di Porcia, Ceneda 1770.

Nato a Porcia il 10 agosto 1682, figlio di Fulvio II e di Laura di Maniago, G.A., dopo aver ricevuto i primi insegnamenti dal cappellano don Carlo Massarini, andò nel 1694 al collegio somasco di S. Cipriano a Murano insieme con due dei suoi numerosi fratelli, Guglielmo e Nicolò. Lì, dodicenne, assorbì copiosamente gli insegnamenti impartitigli da letterati quali Pier Caterino Zeno (filosofia, geometria e geografia), Francesco Bargnani (retorica) e Stanislao Santinelli. Uscito dalla scuola muranese, trascorse praticamente tutta la vita nel castello natio, alle prese con le vicende quotidiane di un nobile di campagna nell’area veneto-friulana ai primi del Settecento. Beghe tra famiglie, gestione della casa, problemi dei parenti, vita pubblica si alternavano a momenti distensivi, come la caccia e gli incontri con gli amici. A queste pause si aggiungano alcune uscite annualmente replicate fuori da Porcia, come le villeggiature di fine estate a San Vito d’Asolo e i soggiorni per il carnevale a Venezia, menzionati poi come salutari occasioni di aggiornamento culturale nei carteggi con Ludovico Antonio Muratori e Antonio Vallisnieri, suoi principali interlocutori. Rarissimi altri viaggi fuori dalle terre friulane: forse uno solo, a Bologna nel 1723 per incontrare il fratello Egidio, monaco cassinese col nome di Leandro e poi cardinale, e per conoscere personalmente il marchese Gian Gioseffo Orsi, che qualche tempo prima gli aveva inviato un lusinghiero parere sulla sua Medea. Nella circostanza fece anche una puntata a Modena, per cercarvi un sospirato abboccamento con Muratori; speranza andata delusa per il contemporaneo soggiornare estivo di quest’ultimo fuori città. Pure tra i sogni non realizzati sarebbe restato per il P. quello di andare a trovare il fratello cardinale a Roma, e magari stabilirvisi per qualche tempo: desiderio ripetutamente vanificato quando stava per realizzarsi – nel 1729, nel 1730 e nel 1738 – a causa di successivi lutti familiari per la morte della madre e del fratello Enrico Ottavio. ... leggi Una vita lontana dai grandi centri culturali, dunque, nella quale lo spazio che sentiva più suo era certamente quello degli studi, coltivato, secondo una tradizione familiare di origine almeno cinquecentesca, nel settore della scienza e della letteratura. Così l’inevitabile passione giovanile per l’esercizio della poesia si concretizzava in lui nell’ammirazione per il rinnovamento poetico proposto dal Maggi con la sua poesia moralistica: scrisse una trentina di sonetti, di cui ne rimane uno solo, a testimonianza appunto dell’adesione a questo stile. Poi, attorno ai trent’anni, sarebbe subentrato il decisivo interesse per i grandi temi dell’Arcadia erudita, coltivati grazie all’amicizia che si instaurò con Antonio Vallisnieri, il famoso medico docente a Padova, ma anche, insieme a Scipione Maffei e ad Apostolo Zeno, redattore del celeberrimo «Giornale de’ letterati d’Italia», indiscusso portavoce delle riforme culturali d’Arcadia, condotte secondo la direttrice del metodo storico e di una ricerca di verità scevra da pregiudizi, dove l’eredità letteraria si mescola con la scoperta scientifica e il metodo sperimentale. La testimonianza di questo colloquio intellettuale, punteggiato da vari incontri diretti, resta soprattutto consegnata alle lettere, che se non ci lasciano intravedere l’occasione iniziale dell’amicizia, a partire dal 1714 offrono un largo squarcio delle reciproche letture, della discussione su opere e autori contemporanei, della richiesta da parte del P. di informazioni letterarie che non potevano giungere direttamente in Friuli, ma che invece circolavano abbondantemente tra Padova e Venezia, stimolandolo ad attivare e poi alimentare per quella via un’articolata rete di contatti epistolari con i più illustri letterati del suo tempo, che gli consentisse di ampliare costantemente i propri orizzonti culturali e di partecipare ai loro dibattiti. Rientra in questo contesto, all’altezza del 1717, il tempestoso incontro del trentaquattrenne G.A. con Giusto Fontanini, ecclesiastico friulano, bibliotecario del cardinale Imperiali a Roma, impegnato in quell’anno in un viaggio in Friuli allo scopo di visitare l’abbazia di Sesto al Reghena che papa Clemente XI gli aveva assegnato. In realtà la visita serviva per raccogliere sul posto, nel senso di impadronirsene, documenti storici da utilizzare per una sua progettata «Storia degli uomini illustri del Friuli». Il P., ospitandolo per parecchio tempo, ne subì l’indubbio fascino culturale e proprio da qui datano i suoi interessi di storiografia letteraria, nonché la ricerca di un contatto con il maestro Muratori e l’instaurarsi di un’amicizia, svolta soltanto per via epistolare, per nulla inferiore a quella con Vallisnieri, peraltro intervenuto in prima persona per agevolarla. Ma a una prima positività dell’incontro con Fontanini fece riscontro negativo il trafugamento da parte di quest’ultimo di molti documenti anteriori al mille e di un manoscritto di epistole latine inedite di Iacopo di Porcia, conservati nell’archivio di famiglia. Ne seguirono lamentele da parte di G.A., espresse ai suoi interlocutori e ben presto estese da Fontanini all’intero ordine dei gesuiti, verso i quali, a partire da quell’occasione, andò vistosamente aumentando una contrarietà forse concepita fin dagli anni giovanili nei confronti del loro metodo degli studi ritenuto, in sintonia con gli arcadi e con Muratori stesso, passivamente imitativo e antiquato, nonché pregiudizialmente ostile agli autori moderni. Così nel successivo 1718, quando da parte gesuitica si censurarono gli scritti dell’abate Girolamo Lioni, amico intimo di G.A. e al servizio di suo fratello Leandro dal 1722, il P. avrebbe comunicato ai letterati amici, richiedendone nel contempo l’aiuto, l’intenzione di scrivere un’operetta contro i gesuiti e i loro insegnamenti. Complice una grave malattia polmonare che nella primavera del 1719 lo ridusse in fin di vita – al punto che parenti e frequentatori della casa ne approfittarono per depredarlo impunemente, a suo dire, di carte e appunti – ma soprattutto per consiglio degli amici, rinunciò alla fine al proposito, salvo però ritornare larvatamente sulla questione quando poco dopo, attorno al 1720, cominciò a rivolgere la sua attenzione all’erudizione di stampo muratoriano, concependo una dissertazione Delle prerogative particolari de’ feudi parlamentarii del Friuli che rappresenta un primo momento della sua collaborazione con Muratori: tradotta questa volta nella richiesta di alcune informazioni fondamentali per la sua ricerca, cui in seguito fece riscontro la fornitura di una serie di informazioni su cronache friulane e trevigiane anteriori al Cinquecento utili per i Rerum italicarum scriptores dell’abate modenese. Ma soprattutto, e anche qui con buona probabilità sull’esempio dell’autobiografia del Maggi lodata da Muratori, è a quest’altezza cronologica che il P. diede corpo alla sua impresa più importante, quel Progetto ai letterati d’Italia per iscrivere le proprie vite che suonava come concreto manifesto delle intenzioni innovative dell’Arcadia nel campo della storia letteraria contemporanea. I migliori letterati e scienziati interpellati, viventi e «di perfetto gusto», come lo stesso Muratori, avrebbero dovuto scriverne i capitoli, ciascuno facendo attenzione a illustrarvi, con impegno di assoluta verità, il metodo dei propri studi, l’autorità dei suoi maestri, i libri pubblicati, i suoi oppositori e gli apologisti. Benedetto Bacchini e in primo luogo il Muratori ne furono gli ispiratori ideali, salvo poi da parte di quest’ultimo intervenire con crescenti diffidenze, non certo sul piano ideologico quanto piuttosto su quello dell’opportunità “politica” di dar spazio, da parte di vari autori, a critiche nei confronti della cultura gesuitica; così da suggerire caldamente al P., canditatosi a raccogliere e pubblicare queste “vite”, di trasformarle in biografie da lui stesso compilate sulla base delle informazioni fornite dai letterati, per eliminare o ammorbidire ogni eventuale accenno di polemica. Da queste incertezze sarebbe discesa la travagliata vicenda del Progetto che, dopo un entusiasmo iniziale, sarebbe stato via via abbandonato da quanti si erano ripromessi di collaborarvi e sarebbe comparso alle stampe solo nel 1728, nel primo tomo della «Raccolta di opuscoli scientifici e filologici» del padre Angelo Calogerà, insieme con un “modello” pratico rappresentato dall’annessa Vita di Giambattista Vico. Nel contempo G.A. continuava ad applicarsi a un altro dei grandi temi del rinnovamento arcadico, quello del teatro tragico: correggendo ed elaborando a più riprese, e alla fine pubblicando, due tragedie che avevano visto la loro prima ideazione attorno al 1712, all’indomani del ritorno dalla scuola somasca. Si sarebbe trattato dapprima, sul finire del 1721, della Medea, consegnata al veneziano stampatore Hertz quando ancora era in corso un giro epistolare di autorevoli pareri e interventi migliorativi richiesti a un dubbioso Muratori e a più decisi estimatori, quali il marchese Orsi, e i fratelli Anton Maria e Salvino Salvini. Poi, nel 1722, sempre presso l’Hertz, del Sejano, dove il P. mostra di attenersi maggiormente ai suggerimenti strutturali e stilistici muratoriani. Ne risultò, a fronte di una Medea che rivela i tratti di una tarda esercitazione scolastica priva di originalità, una tragedia dai toni meno sentenziosi e nel contempo più efficace nel perseguire le finalità di insegnamento civile e morale prescritte dall’Arcadia. Nelle more del dibattito sulla forma e sull’opportunità del Progetto, nel 1724, confessava a Vallisnieri di aver composto e di voler pubblicare un catalogo – sul tipo di quello dei Traduttori italiani del Maffei o della seconda parte dell’Eloquenza italiana del Fontanini – dei migliori libri apparsi sino ad allora in Italia, da destinare principalmente ai librai stranieri; colpevoli a suo avviso di disprezzare nei loro commerci i frutti migliori della nuova cultura nostrana. Strettamente collegato, idealmente e nei fatti, al Progetto, l’autografo di queste Notizie d’alcuni libri stampati d’autori italiani vivuti o viventi a’ giorni nostri ne seguì le trasmigrazioni editoriali, per poi però perdersi al momento della stampa e restare manoscritto tra le carte del Calogerà, cui era pervenuto nell’ipotesi di darlo alla luce congiuntamente, quale riprova concreta della validità dei principi di rinnovamento metodologico contenuti nello scritto teorico e incitamento efficace per i letterati a proseguire sulla strada intrapresa. I motivi della mancata pubblicazione di queste Notizie vanno probabilmente ricercati nel fatto che vi erano citati alcuni autori condannati dal Santo Uffizio e che G.A. vi manifestava, fin dall’ampia introduzione, una certa dose di spregiudicatezza e di libertà intellettuale, nonché una sua tipica animosità nel voler contrastare i pregiudizi dei «librai ultramontani», decisi a non tenere nelle loro botteghe i libri degli autori italiani moderni, perché ritenuti, a torto, ridondanti sul piano stilistico e stucchevolmente antiquati su quello dei contenuti. Ma appunto di pregiudizi si trattava agli occhi del P., deciso con questo suo catalogo ragionato a rispondere a un’accusa ormai ingiusta con i fatti, elencando cioè una serie di opere che mostravano viceversa di essere all’altezza delle migliori prodotte dalla contemporanea cultura d’oltralpe. Le cautele di Muratori – la cui Vita G.A. aveva tra le mani da anni, ma con l’esplicito divieto da parte dell’autore di pubblicarla – e soprattutto l’improvvisa morte di Vallisnieri, nel gennaio 1730, finirono però per vanificare questi propositi e accentuare la lateralità del loro autore rispetto ai grandi flussi culturali italiani, costringendolo a ripiegare su qualche saltuaria collaborazione alla «Raccolta» calogeriana – con un’anonima dissertazione, stampata nel 1734, in difesa delle origini di Treviso contro l’opinione di Michele Lazzari, che riteneva più antiche quelle di Asolo – e soprattutto a dedicarsi, nell’ultimo decennio di vita, al riordino, con devota attenzione, dei vari materiali autobiografici che Vallisnieri gli aveva fornito nella prospettiva del Progetto. Ne sarebbero risultate le Notizie della vita, e degli studi del Kavalier Antonio Vallisneri, premesse all’edizione dei suoi scritti scientifici che il figlio Antonio iunior avrebbe dato alle stampe a Venezia nel 1733, in una pregevole edizione del Coleti. Tre anni dopo, nel 1736, la nomina di G.A. a Condottiero di gente d’armi, seguita alla morte del fratello Enrico Ottavio, avrebbe scandito l’inesorabile concludersi della sua carriera letteraria, con un’accresciuta necessità di adempiere al ruolo pubblico che, oltre a rendergli difficili persino le consuete letture, gli avrebbe impedito di corrispondere alle richieste calogeriane di contributi per la «Raccolta», permettendogli solo qualche modesta ricerca documentaria per conto del Muratori. Malato di gotta, trascorse gli ultimi anni impegnato nell’educazione dei nipoti; preceduto nel 1740 dal fratello Leandro, morì il 27 giugno 1743, in età di sessant’anni, lasciando precisa disposizione, come avrebbe attestato nella sua biografia il nipote Giuseppe, affinché fossero bruciate tutte le sue opere inedite, tra cui forse un’autobiografia.

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Bibliografia

Il manoscritto autografo delle Notizie d’alcuni libri stampati d’autori italiani vivuti o viventi a’ giorni nostri, incluso nel cod. 851 del Fondo di S. Michele di Murano, fasc. IX (Notizie d’alcuni libri stampati d’autori italiani vivuti, o viventi a’ giorni nostri pubblicate da Giovanni Artico Conte di Porcia, f. 219-251) e X (Notizie d’alcuni libri che non portan nomi d’autori, f. 252-259 e 312-315) ora presso la biblioteca del monastero di Camaldoli; una quarantina di lettere del P. al Muratori (dal 1720 al 1739 con cospicue interruzioni dal 1724 al 1728 e dal 1730 al 1738), Biblioteca Estense di Modena, Soli Muratori, 75/19; una novantina di lettere del P. al Vallisnieri (dal 1714 al 1729), Accademia dei Concordi di Rovigo, ms Concordiano, 350/69; quattro sue lettere al Calogerà nella Biblioteca Saltykov Scedrin di San Pietroburgo, 975, XXI, nn. 185, 191-193; sei lettere a vari nella Biblioteca del Museo Correr di Venezia, ms prov. div., 595 c/XI, f. 789-803; ms BCU, Joppi, 710/c, III, f. 81, V. JOPPI, Memorie manoscritte di letterati friulani.
B. ASQUINI, Cent’ottanta e più uomini illustri del Friuli quali fioriscono e hanno fiorito in questa età, Venezia, Pasinello, 1735, 123; LIRUTI, Notizie delle vite, IV, 480-482; G. DI PORCIA, Vita di Giovanni Artico conte di Porcia e Brugnera quondam Fulvio II, scritta da Giuseppe di lui nipote ex fratre. 25 Maggio 1768, Ceneda, Cagnani, 1770; DI MANZANO, Cenni, 166; F. FATTORELLO, Storia della letteratura italiana e della coltura nel Friuli, Udine, La Rivista Letteraria, 1929, 195; P.G. GASPARDO, Giovanni Artico di Porcia, «Itinerari», 8/24 (1974), 39-42; C. DE MICHELIS, L’autobiografia intellettuale e il «Progetto» di Giovanartico di Porcia, in Vico e Venezia, a cura di C. DE MICHELIS - G. PIZZAMIGLIO, Firenze, Olschki, 1982, 91-106; P.G. GASPARDO - G. PIZZAMIGLIO, La pubblicazione dell’autobiografia vichiana nella corrispondenza di Giovan Artico di Porcia con il Muratori e il Vallisnieri, ivi, 107-130; F. CICOIRA, Una risposta al «Progetto» del Porcia: l’autobiografia di Pier Jacopo Martello, «Lettere Italiane», 39 (1987), 522-536; G. PIZZAMIGLIO, Il Catalogo ritrovato. Giovanartico di Porcia e la storiografia letteraria nel primo Settecento, in Tra storia e simbolo. Studi dedicati a Ezio Raimondi dai Direttori, Redattori e dall’Editore di «Lettere Italiane», Firenze, Olschki, 1994, 163-180.

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