FURLAN ADO

FURLAN ADO (1905 - 1971)

scultore, bibliofilo

Immagine del soggetto

Lo scultore Ado Furlan nel suo studio (Spilimbergo, Archivio Furlan).

Personalità umana e artistica che ben figura nel vivace e robusto contesto dell’arte e della cultura del Novecento in Friuli, F. si segnala anche per la cercata proiezione nazionale e romana, fortemente voluta in relazione alla sua vocazione ed esperienza di scultore. Una serie di pubblicazioni succedutesi con regolarità dal 2004 riguardanti la fitta corrispondenza privata, mostre e relativi cataloghi promossi dalla Fondazione a lui intitolata dai figli Caterina, Italo e dalla nipote Giulia, costituiscono un riconoscimento meritato al suo valore, al di là delle comprensibili intenzioni celebrative e di ricordo. F. nacque a Pordenone il 3 dicembre 1905 secondo l’anagrafe (il giorno 6 secondo altri documenti). Il padre Domenico proveniva da Fregona, nella Foresta del Cansiglio, e operava nel settore della lavorazione del marmo. Si sposò con Caterina Pagotto († 1956) il 24 novembre 1900 e a Pordenone, dove prese a vivere nella centrale via Mazzini, nacquero i tre figli: Paolo (1902-1924), Luigi (1903-1951) e, appunto, Ado. La rotta di Caporetto e la conseguente avanzata austriaca anche a Pordenone, dove le truppe entrarono il 24 novembre 1917, seminarono sconvolgimenti e diaspore nelle famiglie, comprese quelle di F. e della futura moglie Ester Scaini (nata il 28 giugno 1906). Al termine della guerra, F. poté entrare nel collegio Toppo Wassermann a Udine, conseguendo la licenza tecnica nel 1920 presso l’Istituto Pacifico Valussi. Seguì, quindi, i corsi di disegno della Società operaia di Pordenone, dove poté coltivare con alto profitto la sua inclinazione per l’arte. Passò poi a Venezia per frequentare la rinomata Scuola d’arte e l’Accademia di belle arti. Ammesso al quarto anno del liceo artistico nel 1924, conseguì il diploma nel 1930 e si iscrisse, nel biennio 1933-1934, alla Scuola superiore di architettura, sempre a Venezia. ... leggi Risale a questo periodo di formazione il sodalizio con il pittore udinese Emilio Caucigh e con lo scultore Riccardo Granzotto, figura di artista spiritualmente profonda che ebbe gli onori della beatificazione col nome di fra’ Claudio. Fu un cultore di Dante; collezionava, inoltre, libri rari, non solo di soggetto artistico. Con l’avvento del fascismo aderì nel 1926 al Partito nazionale, ma rimase persona tollerante e liberale, generosa e aliena da qualsiasi forma di prevaricazione o di scorrettezza umana. L’onestà delle sue idee politiche fu accertata ufficialmente il 13 aprile 1946 a Pordenone da Cesare Bellini, Giuseppe Bisol, Arnaldo Pupin, Giuseppe Scaramelli. D’altra parte la scelta della moglie, Ester Scaini, e i rapporti che egli tenne con la famiglia di lei, notoriamente antifascista, sono la prova più significativa di detta onestà politica. La famiglia di Ester visse l’esperienza dell’emigrazione in Argentina. Al rientro in Italia il padre Antonio militò nel Partito radicale. Delle sorelle di Ester, Teresina era legata d’amicizia alle sorelle Colussi di Casarsa, tra cui vi era Susanna, madre di Pier Paolo Pasolini, e Richetta, madre di Nico Naldini. La seconda sorella Emma sposò nel 1921 l’architetto molto affermato Cesare Scoccimarro col quale F. ebbe ottimi rapporti. Lilia il nome dell’altra sorella. Il ritratto umano e intellettuale di Ester delineato da Amedeo Giacomini e da Gian Mario Villalta fa risaltare bene il ruolo importante da lei avuto nella vita familiare e nella ricerca artistica del marito. Il suo ruolo di donna energica e lucida fu importante nel periodo cruciale del soggiorno di F. a Roma (si vedano le Lettere dal 1936 al 1942; aveva conosciuto Roma durante il viaggio di nozze e in occasione dell’esame di abilitazione all’insegnamento del disegno, conseguita nel 1933). Fu questo il periodo più stimolante e fervido della sua esperienza di artista e di uomo animato da una fede illimitata nell’arte. Coincise con il sodalizio e l’amicizia di una vita con «i quattro di via Margutta», dove avevano le loro botteghe: Pericle Fazzini di Grottammare, Luigi Montanarini toscano e «umanissimo», Angelo Savelli «fragile e sensibile», tutto proiettato a vedere «con i propri occhi la natura in funzione dell’arte». Le loro Lettere a F. (1940-1947) sono pubblicate nel terzo volume della corrispondenza. Il richiamo alle armi alla fine del 1942 interruppe questa stagione. Dopo la fine della guerra, mentre i suoi amici ripresero in pieno il loro lavoro e gli impegni artistici, F. dovette dedicarsi al laboratorio del marmo del padre Domenico, venuto meno nel 1948 in una difficile situazione economica; divenne amico del sacerdote Paolo Lino Zovatto, docente di archeologia cristiana a Padova. La casa di F., in ogni caso, si caratterizzò per essere un luogo di accoglienza umana, di ampio respiro culturale, aperta alle molteplici manifestazioni della cultura e della vita intellettuale. Vi passarono Pasolini, Francesco Sanvitale, il trevigiano Giovanni Comisso; vi furono ospiti Paolo Betocchi, Aldo Camerino, Diego Valeri «il delicato poeta» conosciuto da F. a Roma negli anni Quaranta; frequentarono la casa Carlo Piussi, Francesco Santomaso, Italo Michieli – confidente di F. e figura rilevante della pittura friulana a giudizio di Naldini e di Italo Furlan –, ed ancora Amedeo Giacomini, il critico Giuseppe Marchiori; e di lì passò anche Ezra Pound grazie al quale F. ruppe una fase di silenzio artistico modellandone il Ritratto (bronzo, 1970-1971) a Spilimbergo, dove si era ritirato. Morì a Udine il 14 giugno 1971. La moglie Ester gli sopravvisse di sette anni, venendo a mancare il 28 agosto 1978. Uomo «massiccio», forte e sportivo, «apparentemente scontroso», «generoso con sé e con gli amici», «artista cocciuto nelle sue decisioni», «accurato nei severi giudizi», «ricco di umanità […] con il dono della simpatia», fiducioso nel futuro, costi quel che costi, F. seppe farsi unanimemente apprezzare. [C. G.]

 

L’opera

Esordì sulla scena artistica italiana con una serie di teste scultoree presentate a Ca’ Pesaro nel 1930 e, in seguito, partecipando a numerose esposizioni regionali del Sindacato fascista di belle arti. Il genere del ritratto scultoreo divenne il prediletto dall’autore, sia per la praticabilità e la migliore possibilità di smercio del piccolo formato, sia per la condizione di resa psicologica e di studio diretto dell’espressione del modello. Le prime prove paiono allinearsi al severo naturalismo dei più acclarati modelli della scultura italiana degli anni Trenta, da Romano Romanelli a Francesco Messina (Ritratto di vecchio, 1929-1930; Soggetto di Lombroso, 1931), oltre naturalmente a testimoniare un’adesione al più terso e levigato classicismo di Eugenio Belletto, suo maestro veneziano all’Accademia. Tuttavia, l’opera di F. presenta in questa fase soluzioni diversificate, che comprendono la modellazione sfaccettata per piani e un esplicito tratto di resa impressionista nei bronzi (Bimbo sulla strada, 1933; Boscaiolo del Cansiglio, 1938), e una sintassi più larga e distesa, allineata ad un diffuso gusto neoquattrocentesco, con attenzione ai trapassi chiaroscurali, nei marmi coevi (Autoritratto, 1936; Ester, 1936-1937). Nel corso degli anni Trenta F. approdò inoltre ad una severa misura monumentale, debitrice degli autorevoli modelli di Arturo Dazzi, Eugenio Baroni e Attilio Selva; ne sono prova, oltre all’Aviatore presentato alla Triennale milanese del 1933, le figure a dimensione maggiore del vero, rappresentanti la Fede, il Coraggio, il Valore e la Fecondità, compiute nel 1936 per la facciata della Casa del balilla di Pordenone. Questo progetto non fu privo di risvolti controversi: il clero locale non gradì l’esplicita nudità della Fecondità, e ne impose la sostituzione con un più castigato Sacrificio. Nel loro insieme, le figure mescolavano un magniloquente tono neomichelangiolesco con i più aggiornati ricorsi al modellato rodiniano e alle cadenze sintetiche di Émile-Antoine Bourdelle. In parallelo all’attività nei cantieri monumentali, fra i quali vi è da ricordare la partecipazione al concorso per il Tempio Ossario di Udine, poi vinto da Silvio Olivo, corre l’episodio della produzione dei bronzi di piccolo formato (Pugilatore ferito, S. Sebastiano, Faunetto, tutti del 1938-1939), dove F. recupera una più ampia libertà inventiva, sia attraverso la riduzione di temi già studiati al vero, sia per il confronto con ben noti modelli martiniani. Dopo averli presentati in una mostra a Pordenone condivisa con Franco Brunetta e Duilio Corompai nel 1939, i bronzetti furono esposti, insieme a ritratti e figure in bronzo e in marmo, nella prima personale che F. tenne nel marzo del 1940, alla galleria La Barcaccia di Roma, dove si era trasferito grazie alla vincita della borsa Marangoni promossa dal comune di Udine. Il triennio romano (novembre 1939-dicembre 1942) divenne cruciale sia per i rapporti di amicizia stretti con artisti come Pericle Fazzini, Luigi Montanarini e Angelo Savelli, sia per la possibilità di partecipare agli importanti cantieri monumentali. Nell’estate del 1941 l’architetto Luigi Moretti scelse due suoi bozzetti di fontane (il Cinghiale e i Lupi) da destinarsi al Foro Mussolini; le circostanze della guerra avrebbero consentito il compimento e la collocazione, nell’ottobre 1942, della sola Fontana del Cinghiale. Il periodo romano, oltre all’intensa attività espositiva e all’estensione della rete di committenze, spinse lo scultore ad una revisione stilistica; le teste dei familiari acquisiscono più severe cadenze, mutuate dal diretto confronto con la statuaria romana; in opere come Donatella, una cera del 1940 che F. considerò il proprio capolavoro, si può invece scorgere un’apertura a linguaggi più moderni, legati al fortunato esempio di Giacomo Manzù. La maschera in bronzo di Giannino ridente (1941-1942), che spicca per la «vitalità sentimentale da putto berniniano» (Fergonzi), poté invece beneficiare, dopo la presentazione alla X Sindacale laziale del 1942, dell’acquisto del Re. Nel mutato panorama del dopoguerra, F. non ebbe più modo di ristabilirsi a Roma, e la sua attività proseguì dunque a Pordenone, assumendo la guida del laboratorio di marmi della famiglia. Lo scultore continuò a modellare opere per destinazioni pubbliche e s’impegnò in una fitta attività di promozione culturale, culminata con l’apertura della galleria d’arte contemporanea Il Camino. Le opere degli anni Cinquanta furono caratterizzate da un’orgogliosa rivendicazione della tradizione figurativa. Dinanzi ad un panorama di radicale revisione avanguardista dei principi della statuaria tradizionale cui lui stesso si era mosso, F. assestò la sua opera in una sorta di classicismo atemporale, recuperando temi mitologici o figurazioni arcadiche (Icaro caduto, Leda con il cigno, Bagnante, tutti del 1947) al di fuori d’ogni dialettica con gli sviluppi della modernità, sino a riprendere, in una coerente e fiera continuità, i favoriti temi ritrattistici degli esordi. [A. D. P.]

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Bibliografia

Materiali, lettere, documenti, «scartafacci» e carte varie riguardanti A. F. sono conservati presso l’archivio della Fondazione Ado Furlan, Spilimbergo.

Utilissima la Bibliografia di Ado Furlan, a cura di M. DE SABBATA, in Ado Furlan 1905-1971. Lo scultore e le passioni del suo tempo. Catalogo della mostra (Pordenone, 10 dicembre 2005), a cura di F. FERGONZI, Cinisello Balsamo (Milano), Silvana, 2005, 146-157.

A. CAMERINO, Città di campagna, elzeviro, «Il Gazzettino», 17 settembre 1952; A. FURLAN - E. SCAINI, Una strana idea dell’amore. Lettere 1931, a cura di C. FURLAN - C. GRIGGIO, Udine, Forum, 2004; A. FURLAN, Eterna Roma. Lettere a Ester 1936-1942, a cura di C. FURLAN - C. GRIGGIO, Udine, Forum, 2005; Ado Furlan 1905-1971 cit.; Ado Furlan nella scultura italiana del Novecento, a cura di F. FERGONZI - C. FURLAN, Udine, Forum, 2005; P. FAZZINI - L. MONTANARINI - A. SAVELLI, Dagli amici di via Margutta. Lettere a Ado Furlan 1940-1947, a cura di C. FURLAN - C. GRIGGIO, Udine, Forum, 2006; Corrispondenze a Nord Est. Lettere di artisti a Ado Furlan 1930-1954, a cura di C. FURLAN, Udine, Forum, 2008; Omaggio a Luigi De Paoli (1857-1947).

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