Da ingegnere delle armate napoleoniche a fedele funzionario asburgico che «con lo studio e con l’esercizio pratico ha cercato di correlare le scienze con le arti e queste con i mestieri»: quanto si legge nel suo stato di servizio definisce bene la vicenda artistica ed umana di P. Nacque a Udine il 18 aprile 1788 in via Pracchiuso, nella parrocchia della basilica di S. Maria delle Grazie, cui fu sempre legato, da una famiglia di imprenditori edilizi. Il padre Leonardo era capomastro muratore e lo zio Giuseppe titolare di un’impresa attivissima nei cantieri udinesi, spesso in quelli progettati dal nipote. P. studiò presso i padri barnabiti e, secondo Antonio Picco, fu discepolo di Michele Giuliani (o Zuliani) detto Lessani. Grazie ai primi rudimenti di architettura e di matematica appresi in famiglia entrò nel 1806 come alunno dell’Ispettorato napoleonico dei lavori pubblici, acque, ponti e strade, con l’intenzione di far parte del genio militare. Per acquisire il titolo di studio necessario si iscrisse dapprima a Padova, l’unica Università che abilitava all’esercizio dell’ingegneria, e poi alla Facoltà di scienze di Bologna, dove si laureò nel 1811. Nel 1812 vinse l’“alunnato di Roma”, cioè un tirocinio di tre anni presso l’Accademia di belle arti romana diretta dal Canova, che lo designò segretario della istituzione. Nell’ottobre 1815 vinse il premio di architettura bandito dalla stessa e fu nominato insegnante di disegno a Treviso, dove rimase fino al 1817, quando lasciò l’insegnamento per l’incarico di ingegnere presso la imperial regia Delegazione provinciale di Udine che si occupava della manutenzione degli edifici erariali, delle strade, dei ponti, degli argini dei fiumi e della gestione delle acque. ... leggi Nel 1819, in seguito alla riforma delle competenze degli uffici provinciali, P. perse l’incarico e fu assunto nel 1821 come ingegnere municipale della città di Udine con il compito di occuparsi anche del Consorzio delle acque, che curava il rifornimento di acqua potabile e il controllo delle rogge. Il periodo giovanile fu caratterizzato da un vero e proprio culto per la figura di Antonio Canova, cui la città tributò, nel 1823, fastose onoranze funebri per le quali P. eresse un cenotafio nella chiesa di S. Francesco. Dal punto di vista culturale fu attirato dalla cultura riccatiana, diffusa a Treviso, e dai trattati vitruviani, che fondevano la cultura classica con quella scientifica illuminista. Dal 1817 fu impegnato nella costruzione del cimitero udinese di S. Vito, dapprima come ingegnere provinciale e in seguito come ingegnere municipale. Il suo parere fu decisivo per la scelta della ubicazione del cimitero, la cui prima pietra fu posta il 29 marzo 1818 secondo il progetto da lui elaborato in ossequio alle prescrizioni municipali, che prevedevano uno scaglionamento dei lavori nel tempo e ponevano a carico della municipalità solo la chiesa e i fabbricati di servizio, mentre i porticati sarebbero stati costruiti dagli acquirenti delle tombe. P. disegnò una pianta quadrangolare, con la chiesa posta sul lato settentrionale all’apice di un’esedra di colonne doriche, che completava il perimetro rettilineo ad arcate. Fu uno tra i primi esempi di una necropoli monumentale in stile neoclassico in Italia. Nel 1865 le diciotto tavole disegnate da P., con litografie di Marco Moro e Giovanni Pividor, documentarono il progetto completo del cimitero, che in realtà ebbe un iter alquanto travagliato. I lavori furono fatti in economia e con lentezza, subirono drastiche semplificazioni e cambiamenti fino al 1906, quando il cimitero fu concluso. P. portò a termine fino al 1829 il primo lotto di lavori comprendente la chiesa, l’esedra e parte del recinto settentrionale. Se la necropoli udinese può essere considerata l’opera più importante dell’ingegnere, l’attività al servizio della municipalità di Udine fu meno conosciuta, ma molto significativa. Come deputato alla Commissione d’ornato regolarizzò l’architettura udinese secondo i criteri vitruviani di simmetria ed euritmia, ponendo sull’asse di simmetria principale le parti più importanti e disponendo le parti accessorie lungo quelli secondari, fornendo nel 1824 semplici regole per l’approvazione delle licenze edilizie. P. si occupò soprattutto di questioni tecniche; meritano menzione il restauro della torre dell’orologio (1825); il restauro delle porte della città (1822-1826); la sistemazione di alcune strade; il riatto del palazzo comunale, demolito da Raimondo D’Aronco nel 1910, e del colle del castello (1824). Particolare importanza ebbe l’attività di ingegneria idraulica: tentò di sistemare le fontane di piazza Contarena e di Mercatonuovo derivando le acque dalla roggia, per regolare la quale costruì in Chiavris una cisterna (1823-1824). Nella sua autobiografia P. ricordò, oltre al cimitero, solo la sistemazione architettonica della statua della pace di Campoformido sulla salita al castello (1818-1822). Si possono però citare altri interventi che conferirono alla città il volto attuale, quali la sistemazione dell’ex convento e della chiesa di S. Pietro martire (1819-1824) con l’apertura (1826) di una nuova strada di comunicazione (l’attuale via Valvason) tra il centro e il borgo di S. Maria. Nel 1821 P. progettò la facciata del Liceo dei barnabiti applicando «le medietà principali e secondarie» al palazzo, che fu completato solo nel 1883. Particolarmente importante fu anche il restauro della facciata del duomo di Gemona (1824), pericolante dopo il terremoto, con una “regolarizzazione” degli elementi romanico-gotici. Al periodo triestino si data il progetto di restauro della basilica di Aquileia attribuitogli da Arturo di Manzano. Per non meglio precisate avversità, probabilmente dovute al suo carattere rigido e per niente incline ai compromessi, P. si dimise dall’incarico di ingegnere municipale di Udine nel 1826, per assumere servizio come ingegnere dell’imperial regia Direzione delle pubbliche costruzioni della Dalmazia a Zara. Non per questo, però, si interruppero i rapporti con il Friuli: nel 1838 riformò casa Muratti a Udine, nel 1837 progettò gratuitamente il pronao della basilica delle Grazie, costruito dall’impresa dello zio Giuseppe, e tra 1838 e 1849 vi progettò tre eleganti altari marmorei in stile neoclassico. L’interesse per i giardini, maturato nel progetto del cimitero, continuò dal 1824 al 1840 nella sistemazione della tenuta di Cintio Frangipane a Castel Porpetto, e nel 1827 per un progetto palladiano di villa a Percoto su committenza dei Caiselli. A Zara P. fu molto apprezzato, diventando nel 1834 direttore dell’ufficio. Continuò la sua attività di ingegnere idraulico sistemando il corso dei fiumi Cetina, Neretva e Kerka, e realizzando nel 1838 l’acquedotto della città dalmata e cinque cisterne sistemate sotto la piazza a ridosso dei bastioni. L’opera zaratina più importante fu l’esecuzione della strada del Velebit (1827-1832), che metteva in comunicazione la Dalmazia con la Croazia. In prossimità del valico, P. costruì una cappella intitolata a san Francesco (dal nome dell’imperatore d’Austria) nelle forme di tempietto circolare dorico coperto a cupola e con pronao, che ricordava il Pantheon. Nelle altre chiese dalmate, il dorico archeologico scelto per il Velebit si stemperò nel classicismo palladiano, come nella facciata della chiesa di Privlaka (Bevilacqua) presso Zara o nelle chiese della Madonna del Rosario a Kliske (1826-1829) e in quella di Balke. Queste ultime a tre navate, situate vicino a Drnis, ricordano il fastoso progetto per il tempio del borgo Franceschino di Trieste (1850 ca.), illustrato con dovizia di litografie, ma mai realizzato, come successe a molti progetti di P. per Zara. I pochi che furono costruiti, come il carcere (1829-1845), la ristrutturazione del convento di S. Cristoforo (1836-1842), il Teatro Nobile (1835), furono distrutti successivamente, tanto che di P. a Zara rimangono solo la sistemazione interna e il fonte battesimale (1842) della chiesa di S. Simone. Gli anni zaratini furono felici per P., che si fece amico del pittore Francesco Salghetti Drioli, che ebbe un ruolo importante nella formazione della collezione Cernazai di Udine. Nel 1839 P. fu trasferito a Trieste come direttore delle pubbliche costruzioni, e qui operò fino al 1850. Si occupò ancora una volta di lavori tecnici: costruzione di banchine, ponti e strade, sistemazioni idraulico-forestali in Istria, il prolungamento di alcuni moli a Trieste, come quello Sartorio, dove edificò un fabbricato per il dazio dei vini. Ebbero rilevanza artistica i progetti per le neoclassiche ville Maganza (edificata nel 1849 e distrutta nel 1904) e soprattutto villa Gossleth (1849), con una loggia centrale timpanata di gusto neopalladiano. Più che i progetti realizzati, in cui la firma era spesso un dovere d’ufficio, importanti furono i rapporti culturali con gli architetti. P. inserì nella Direzione delle pubbliche costruzioni Giovanni Berlam, nel 1846, come ingegnere praticante, e assunse come alunno ingegnere nel 1849 Giovanni Righetti, che collaborò con P. firmando i disegni per il villino Maganza. Ancora una volta il rifiuto di P. di interrare il canale davanti alla chiesa di S. Antonio ne determinò l’allontanamento da Trieste. Nel 1850 egli prese servizio alla Direzione generale delle pubbliche costruzioni di Verona e nel 1853 non riuscì a trasferirsi a Venezia, come avrebbe voluto. Si occupò della manutenzione degli edifici erariali e nel 1857 soprintese alla costruzione della tratta ferroviaria da Casarsa ad Udine. Quando nel 1858 anche la Direzione veronese fu soppressa, P. andò in pensione con la carica di consigliere imperiale. Si ritirò a Udine, dedicandosi alla pubblicazione dei suoi progetti più importanti e alla redazione di scritti sulla architettura e sul restauro. Morì il 18 aprile 1861 e, come postumo omaggio, nel 1865 la Congregazione municipale di Udine pubblicò La necropoli udinese inventata e descritta per Valentino Presani ingegnere architetto, a cura di Giovanni Battista Locatelli, che ne raccolse disegni e scritti.
ChiudiBibliografia
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