POLITI ODORICO

POLITI ODORICO (1785 - 1846)

pittore

Immagine del soggetto

Autoritratto, olio su tela di Odorico Politi, 1830-1840 ca. (Udine, Civici musei).

Figlio di Giacomo, originario di Clauzetto, e di Chiara Simonetti, P. nacque a Udine, in borgo Poscolle, il 29 gennaio 1785. Intrapresi inizialmente gli studi classici presso il Seminario cittadino, si dedicò in seguito a quelli artistici, assecondato dai genitori, esponenti di due facoltose famiglie dedite al commercio. Dopo aver frequentato per qualche tempo lo studio del pittore Giovan Battista Tosolini, P. decise di trasferirsi a Venezia per iscriversi all’Accademia di belle arti. Nella città lagunare, il giovane seguì le lezioni di Pietro Tantardini e Iacopo Guarana cui associò lo studio della statuaria antica, conosciuta soprattutto attraverso i calchi in gesso degli originali greci e romani presenti nella Galleria di palazzo Farsetti. Nel 1807 le cattedre accademiche di pittura e di elementi di figura furono affidate al pistoiese Teodoro Matteini, presso il quale P. poté portare a compimento la propria iniziale formazione. A quel periodo risale verosimilmente l’esecuzione del Ritratto di Melchiorre Cesarotti (Padova, Museo civico) e quello dell’Arcivescovo Baldassarre Rasponi (Udine, Civici musei), che denotano alcune durezze espressive ed un’impostazione settecentesca non ancora avvertita della sottile vena intimistica propria dei ritratti del maestro Matteini. Nel 1809, dopo aver partecipato senza successo al concorso accademico per il pensionato a Roma, decise di intraprendere ugualmente a proprie spese il viaggio nell’Urbe in compagnia di Francesco Hayez e Giovanni Demin, vincitori della borsa di studio. Nella città eterna entrò in contatto con l’ambiente artistico raccolto attorno ad Antonio Canova, di cui P. lasciò un vivido ritratto (Udine, Civici musei), che la critica appare concorde nel datare al soggiorno romano dell’artefice, ma che Ludovico Rota nel 1847 riferiva essere stato eseguito all’epoca della morte dello scultore, avvenuta nel 1822. Rientrato a Udine nel 1812, si dedicò, tra il 1813 e il 1818, alla decorazione ad affresco del salone del palazzo di famiglia con episodi storici e mitologici: al centro del soffitto raffigurò Giunone con il Sonno e le Ore in atto di addormentare Giove, cui si affiancano, entro due tondi, Ebe cacciata dall’Olimpo e Il ratto di Ganimede. Sotto la volta si trovano scene con gli amori di Giove, tratti dalle Metamorfosi di Ovidio (si tratta di Leda e il cigno, Proserpina e il serpente, Semele e la folgore, Danae e la pioggia d’oro, Io e la nuvola, Asteria e l’aquila, Il ratto di Europa, Egina e la fiammella), mentre su una parete laterale l’artista ha dipinto Alessandro Magno che dona Campaspe ad Apelle. Accanto a quest’ultimo episodio avrebbero dovuto comparire – secondo quanto testimoniato dai bozzetti che si conservano presso i Civici musei di Udine – il Compianto di Alessandro sul cadavere di Dario e due vicende di storia romana, la Partenza di Pompeo per i Balcani e la Morte di Cleopatra, che però non furono mai portati a termine. ... leggi Nel suo complesso, il ciclo testimonia l’adesione di P. alle poetiche neoclassiche, fortemente connaturate alla sua formazione accademica e da cui egli dimostrò di non volersi mai discostare nel corso dell’intera carriera professionale. Intorno al 1815-1818, si impegnò nuovamente nell’esecuzione di un quadro con La Vergine in trono con il Bambino e un putto (Udine, Museo diocesano e gallerie del Tiepolo) per la cappella del palazzo avito. L’opera – nota anche con il titolo de La Benedizione per l’atteggiamento di Gesù che in braccio alla madre appare in atto di benedire la città di Udine, rappresentata sul fondo da uno scorcio dell’attuale piazza Libertà – si presenta molto simile nella concezione alla Madonna in trono con il Bambino (Udine, Civici musei), che nel 1821 il pittore dipinse per l’altar maggiore della chiesa udinese di S. Maria di Castello in sostituzione di un vecchio gonfalone di Eugenio Pini. Entrambe le composizioni appaiono debitrici dei modelli di studio accademico e soprattutto di quelli offerti dalla pittura cinquecentesca veneta così in auge tra le lagune a quell’epoca. Dal 1816 P. fissò la propria residenza a Venezia; da lì, nel 1818, inviò all’Esposizione di Brera la tela raffigurante La lucerna di Anassagora (Milano, Pinacoteca di Brera) che gli valse il gran premio di pittura e gli elogi di pubblico e critica. Scrivendo molti anni dopo allo scultore Pompeo Marchesi, P. ricordava con soddisfazione i successi ambrosiani del suo dipinto, che avrebbero potuto tradursi in duraturi rapporti di committenza se il conte Leopoldo Cicognara, allora presidente dell’Accademia veneziana, non lo avesse apertamente osteggiato. A Venezia gli fu intanto assegnato l’incarico di “aggiunto” alla cattedra accademica di pittura, retta ancora dal suo maestro Matteini, che P. sostituì, nel 1831, dapprima come supplente e, dal 1838, come titolare del corso. I legami con la provincia friulana si mantennero costanti anche dopo il trasferimento tra le lagune: tra il 1818 e il 1825 circa il pittore fu chiamato dai conti Rambaldo e Francesco Giacomo Antonini ad affrescare una sala del loro palazzo udinese. In quella sede egli rappresentò scene tratte dall’Odissea e soggetti ispirati alla vita di Socrate: Ulisse e Nausicaa, Diotima a colloquio con Socrate – esemplato sull’analogo episodio dipinto da Francesco Hayez in palazzo Papadopoli di Santa Marina a Venezia nel 1818 – e Alcibiade scoperto da Socrate nel gineceo. Le decorazioni si presentano perfettamente in linea con gli interessi antiquari dei due committenti, noti collezionisti d’arte, il secondo dei quali era conosciuto in ambito cittadino anche per la sua collezione di medaglie e di monete greche e romane antiche. In quel periodo, inoltre, P. fu interpellato da alcuni esponenti dell’aristocrazia udinese per la realizzazione di ritratti caratterizzati da un’acuta resa fisiognomica e psicologica, come quello del Conte Giovan Battista Bartolini e quello del fratello Antonio (entrambi a Udine, Civici musei), raffigurati a mezzo busto, entro ambientazioni che nel ricorso al dettaglio narrativo rivelano passioni e interessi degli effigiati. Nel corso degli anni Venti l’artista si dedicò anche alla pittura sacra, in particolare nel 1824 licenziò dal suo studio un S. Giovanni Battista (Pordenone, Museo civico d’arte; ne esistono due repliche nelle chiese di Pavia di Udine del 1833 e Billerio del 1842), donato alla parrocchiale di Clauzetto, che denuncia il debito contratto dall’artista con i modelli offerti dalla pittura veneta rinascimentale e da Tiziano Vecellio nello specifico. Allo stesso anno risale l’esecuzione della pala con i Ss. Paterniano vescovo, Luigi Gonzaga, Benedetto abate, Pietro apostolo, Antonio da Padova (?) e Vincenzo Ferreri per la chiesa veneziana di S. Luca, cui si affianca, nel 1828, la Madonna addolorata per S. Felice, sempre a Venezia. Al medesimo torno di tempo deve essere collocata la realizzazione della tela raffigurante La consegna delle chiavi a s. Pietro, per la parrocchiale di Tarcento, orchestrata sulla figura di Cristo attorniato dagli apostoli entro un ampio paesaggio. Nel 1830 P. partecipò all’esposizione accademica annuale a Venezia con uno dei suoi dipinti più noti, Elena giocata ai dadi da Teseo e Piritoo, di cui oggi si conoscono ben due versioni (l’una a Treviso, Musei civici, l’altra a Pordenone, Museo civico d’arte). Accolta benevolmente dalla critica, l’opera fu riproposta all’attenzione del pubblico nuovamente a Milano nel 1831, raccogliendo, anche in quell’occasione, non pochi consensi. Rientrato nella città lagunare, il quadro rimase per lungo tempo nello studio di P., che lo presentò ancora a Venezia nel 1835 decidendo di trarne, in un momento imprecisato, una replica. La tela, di chiara impostazione neoclassica, denuncia il gusto attardato del suo artefice che, ancora a quella data, dimostrava di non volersi emancipare dal soggetto mitologico per sintonizzarsi sui raggiungimenti del romanticismo, ormai ampiamente diffusi anche tra le lagune. Ripresentata a Venezia nel 1838 alla mostra organizzata per celebrare la visita ufficiale dell’imperatore Ferdinando I, l’opera, oggi a Treviso, fu infine acquistata dal collezionista triestino Carlo Antonio Fontana, che la cedette successivamente all’imprenditore Sante Giacomelli, nella cui raccolta d’arte essa si trovava prima di passare, per lascito testamentario, al Museo trevigiano. Al 1832 si data, invece, la pala raffigurante La carità di s. Martino, portata a compimento su richiesta di Iacopo Mantovani per la chiesa di Bertiolo (Udine). Il prestigio raggiunto da P. in quegli anni di intenso lavoro si traduceva, nel 1834, nella commissione governativa per la decorazione ad affresco del soffitto del salone di palazzo Reale a Venezia, dove raffigurò La Pace circondata da Virtù e Geni dell’Olimpo, inneggiante al buon governo austriaco, opera inaugurata solo nel 1838. Nella seconda metà degli anni Trenta, si segnalano anche alcune richieste per dipinti di soggetto sacro che contribuirono ad accrescere la fama del pittore in area triveneta. Se nel 1835, per interessamento di don Mattia Sabbadini, La Vergine del Rosario trovava collocazione sull’altar maggiore della parrocchiale di Vito d’Asio, nello stesso anno gli veniva allogata l’esecuzione della tela con S. Antonio in gloria per la chiesa di S. Antonio Nuovo a Trieste, essendo risultato vincitore, con Michelangelo Grigoletti, Ludovico Lipparini, Felice Schiavoni, Joseph Schönmann e Joseph Ernst Tunner, del concorso bandito nel 1834 per la realizzazione delle sei pale per gli altari laterali del sacro edificio. Intorno al 1836, inoltre, consegnava l’Assunta per la chiesa di S. Giacomo Maggiore a Udine, caratterizzata ancora dal richiamo a modelli tizianeschi, ricondotti però ad un equilibrio formale di matrice accademica. Nel 1838, invece, portò a compimento il dipinto raffigurante S. Filomena soccorsa dagli angeli che, esposto a Venezia all’Accademia, fu infine inviato a Rovigo per essere situato nel duomo cittadino. Alla piena maturità artistica di P. deve essere assegnata anche la Madonna con il Bambino in grembo che si trova nella chiesa della Natività di Felettano, presso Tricesimo, e che, pur non essendo documentata, la critica è concorde nel ritenere opera autografa del pittore. Va segnalata, nel 1840, l’esecuzione della pala raffigurante la Madonna addolorata per la chiesa di S. Cassiano a Venezia, in cui – come rilevato da Antonio Garlatti (2004) – l’impianto settecentesco si coniuga a lontane reminiscenze tizianesche. Accanto a queste opere di carattere sacro si pongono, lungo tutto il percorso artistico di P., numerosi ritratti, tra cui quello del pittore Giuseppe Borsato (ante 1838; Venezia, Galleria internazionale d’arte moderna di Ca’ Pesaro), suo collega accademico, titolare della cattedra di ornato dal 1812. A quest’ultimo si affianca il ritratto, risalente al 1839 circa, dell’abate Angelo Dalmistro (Pordenone, Camera di commercio), esponente di spicco dell’ambiente culturale letterario veneto, letterato egli stesso, amico di Gasparo Gozzi e maestro di Ugo Foscolo, ritratto sulla tela con pungente e realistica vivezza. Permeato di un nitore di lontana ascendenza raffaellesca ed ingresiana appare piuttosto il dipinto raffigurante La modella del pittore, risalente al 1837-1838 circa (Udine, Civici musei), una delle opere più note dell’artista benché eccentrica rispetto al resto della sua produzione. Al quarto decennio dell’Ottocento si possono, infine, datare l’Autoritratto e l’Autoritratto non finito (entrambi a Udine, Civici musei), che ci restituiscono l’immagine di un uomo affermato professionalmente, ma amareggiato dalle delusioni subite in ambito accademico dove, in più di un’occasione, i suoi metodi d’insegnamento furono aspramente criticati per la loro inadeguatezza al mutare dei tempi, come accadde, a causa di Antonio Zona, nel 1842. Furono forse queste critiche a spingere P. sulla strada di un tardivo aggiornamento nel campo della pittura a soggetto storico-romantico con il dipinto raffigurante La fuga da Venezia di Bianca Cappello, opera rimasta incompiuta alla morte del pittore e documentata dai tre bozzetti conservati presso i Civici musei di Udine. Il soggetto si riferisce ad un episodio di cronaca veneziana che, tra storia e invenzione, coinvolge la figura di Bianca Cappello, nipote del cardinale e patriarca di Aquileia Giovanni Grimani, morta avvelenata nel 1587 insieme al marito Francesco I, granduca di Toscana. Si tratta dell’ultimo dipinto realizzato da P. prima di morire a Venezia il 18 ottobre 1846.

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Bibliografia

L. ROTA, Cenni su alcuni oggetti di Belle Arti ed utili istituzioni esistenti nella R. città di Udine capitale della Provincia del Friuli, Udine, Vendrame, 1847; G. COMELLI, Odorico Politi, Udine, Edizioni d’arte de «La Panarie», 1947; A. MANZANO, Mostra delle opere del pittore Odorico Politi. Catalogo della mostra, Udine, Accademia di Udine/Circolo artistico friulano, 1947; I. REALE, Gli affreschi udinesi di Odorico Politi, «Antologia di belle arti», 35-36 (1990), 93-98; A. GARLATTI, Il pittore Odorico Politi nel ricordo della sua terra d’origine: Clauzetto, in Âs, 643-656; G. BERGAMINI, schede, in Tra Venezia e Vienna; A. GARLATTI, Odorico Politi (1785-1846). La vita e le opere, ibid., 141-153 (con bibliografia precedente); V. GRANSINIGH, Artisti friulani a Venezia nell’Ottocento: appunti per una storia del rapporto centro/periferia in area veneta, ibid., 123-139 (con appendice documentaria).

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