MICHELINI PIETRO

MICHELINI PIETRO (1863 - 1933)

poeta, dirigente ferroviario

Immagine del soggetto

Il poeta Pietro Michelini.

Nacque ad Adorgnano di Tricesimo (Udine) il 4 ottobre 1863, da famiglia contadina benestante. Compiuti gli studi magistrali, trovò impiego, fino a ricoprire un ruolo dirigenziale, presso le ferrovie: prima a Udine, poi a Bologna, infine a Roma dal 1912. Iniziò molto presto a scrivere versi in italiano, ma furono i componimenti in friulano, pubblicati con lo pseudonimo di Pieri Corvat (o, più di rado, Tite Çorat), su «La Patria del Friuli» e su «Pagine friulane», soprattutto tra la fine dell’Ottocento e il 1911 circa, a renderlo famoso nell’ambiente culturale udinese. Socio della «Dante Alighieri» di Udine, ebbe come amici ed estimatori Giovanni Costantini, Domenico Del Bianco, Ercole Carletti, Giuseppe Marcotti, Giuseppe Ellero e Bindo Chiurlo. Il suo nome figura tra i firmatari dell’atto di costituzione della Società filologica friulana nel 1919. La vena espressiva popolare di M., attingendo ad un patrimonio lessicale solido e variegato e avvalendosi di una non comune perizia metrica che privilegia il confronto con il sonetto, prende di mira la realtà circostante, punzecchia amici e parenti, rileva bizzarrie, denuncia ingiustizie e cose che non vanno con un’ironia garbata e bonaria (non immune talvolta da qualche eccesso retorico), senza dispiegarsi mai nei modi della polemica più severa. ... leggi La canzonatura può coinvolgere figure di preti colti nei loro aspetti più retrivi, nei loro difetti più pesanti, o figure di arricchiti, di imbroglioni, di approfittatori, di politici. Numerose sono le poesie d’occasione dove il tono celebrativo si fonde con quello scherzoso (curiosa, ad esempio, una filastrocca che promuove la diffusione del vocabolario di Giulio Andrea Pirona, A proposit dal gnûf Vocabolari furlan di G. A. Pirona [A proposito del nuovo vocabolario di G. A. Pirona], in «Pagine friulane», 2 dicembre 1900, uno strumento «necessari / pal operari, / pal esercent / pal possident, / pal leterâd / e pal splantâd, / e par du-cuançh / piçui e grançh» [necessario per l’operaio, per l’esercente, per il possidente, per il letterato e per lo spiantato, e per tutti quanti, piccoli e grandi]. Non mancano componimenti più riflessivi, dove la malinconia è attenuata dalla leggerezza, come nel celebre L’orloi dai nonos scandito in ottonari («Tic e tac continuamentri / l’orloi vecjo sul armâr: / mi fâs sens usgnot cà dentri / che ticade regolâr…» [Tic tac continuamente, il vecchio orologio sull’armadio; mi sgomenta stanotte, qui dentro, quel rumore regolare…]), o come in una serie di graziosi sonetti indirizzati a una certa Ninine (Par Ninine): «Ti visistu, Ninine? l’altre sere/ ti ài alzade di pês un momentin, / ’o ài sintût tra lis mans cedi el bustìn…» [Ti ricordi, Ninine? L’altra sera ti ho alzata di peso un momentino, ho sentito tra le mani cedere il bustino…]. Piacevoli sono anche le liriche dedicate alle stagioni della sua terra e quelle che, deplorando la vita noiosa dell’impiegatuccio, anelano a un qualche desiderio di fuga, di libertà: «E nemîs e seciaduris / e malans no mancin mai, / né lis pizzulis brauris / dei magnifics basoai. / Libertât che tant ’o ami / vite mé di presonîr! / Vie pal mont senze voltami / ’o larès tant vulintîr» [E nemici e seccature e malanni non mancano mai, né le piccole borie dei magnifici sciocchi. Libertà che tanto amo, vita mia di prigioniero! Per il mondo, senza voltarmi, andrei tanto volentieri!]. Qua e là trapelano, nel tessuto popolaresco, scoloriti echi dei grandi poeti italiani (Leopardi, Carducci, Pascoli): un vago riferimento carducciano si riconosce, per esempio, in Il treno, «machine massizze», «regjne dal progrès dal dì di ué» [macchina massiccia, regina del progresso dei giorni nostri] che «su la strade glereose / su lis dôs rodais d’azzâl, / al ven su cun spaventose / furie, atent a ogni segnâl…» [Sulla strada ghiaiosa, sulle due rotaie d’acciaio, viene su con spaventosa furia, attento a ogni segnale…]). Nel 1903 M. pubblica il poemetto Il Cuarantevott [Il Quarantotto], con prefazione di Giuseppe Marcotti: ottanta sonetti che rievocano, in chiave parodica (sul modello di Villa Gloria di Cesare Pascarella), i moti nella città di Udine tra il marzo e l’aprile del 1848. È un racconto «da osteria, “parlato”, disperso nell’aneddoto, nella macchietta, con tocchi ironici ed evasioni sentimentali» (Pellegrini). A distanza di molti anni, un popolano di nome Pieri Corvat, ormai vecchio e deluso («ridot quasi d’intrig, ’o vîf no sai parcè / rotam inutil dal quarantevot» [ridotto quasi a esser d’impiccio, vivo non so perché, rottame inutile del quarantotto]), narra gli straordinari fatti di cui era stato protagonista in gioventù: l’insurrezione a seguito delle notizie dei rivolgimenti di Vienna e di Venezia, il Governo provvisorio, l’assedio, la resistenza vana, il bombardamento nemico con conseguenze per fortuna non troppo gravi, e la fine di tutto con il rientro degli austriaci in città. I personaggi sono di fantasia («Quaran» e «Totate», innanzitutto, con i loro «nomina omina», l’uno «fogôs e impazient d’ogni pastorie» [focoso e impaziente d’ogni lungaggine] e l’altro «un tire-mole e bon cristian» [un indeciso e buonuomo]), ma sono anche reali, come il «soldât e leterât» [soldato e letterato] G. Domenico Barnaba (i cui personali Ricordi del ’48 M. avrà sicuramente letto, a puntate, tra il 1889 e il 1890 proprio sulle colonne di «Pagine friulane»), e come il poeta Pietro Zorutti che il narratore Pieri Corvat dice di aver incontrato nella famosa osteria di Plett, uno dei tanti angoli di una topografia udinese ridisegnata con scrupolo e verosimiglianza. Nel 1906 l’editore Del Bianco diede alle stampe I refudums del “Cuarantevott” [Gli avanzi del Quarantotto], una selezione delle centinaia di sonetti che M. aveva prodotto originariamente e che poi aveva lasciato nel cassetto, tre anni prima, al momento della pubblicazione, un po’ perché assalito dai dubbi in merito alla loro riuscita artistica, un po’ perché si rendeva conto che molto materiale era dispersivo e poco utile all’economia complessiva del racconto. Anche tra i Refudums, comunque, non mancano elementi interessanti: basti pensare al fatto che a volte la narrazione è interrotta da qualche squarcio che il vecchio Pieri apre sul presente (si veda, per esempio, il cenno ai recenti disastri della spedizione italiana in Etiopia). L’originale rivisitazione del Risorgimento friulano attuata con il Cuarantevott avrebbe dovuto continuare con un secondo poemetto eroicomico, La difese di Osôf [La difesa di Osoppo]. L’opera impegnò a lungo l’autore, ma lo sforzo fu inconcludente. Allontanatosi ormai dal Friuli, col quale mantenne però sempre vivi i contatti, il poeta andò incontro a stanchezza (da lui denunciata anche nelle lettere agli amici), ad un esaurimento progressivo dell’estro poetico. Tra i manoscritti inediti di M. conservati presso la Biblioteca comunale di Udine, è da ricordare il poemetto Oslavie [Oslavia], del 1921: un tentativo di tornare alla poesia per onorare la memoria dell’amato figlio Lelio combattente della prima guerra mondiale, caduto nella località di Oslavia, presso Gorizia, nel 1916. Al di là di qualche passo, per lo più descrittivo, in cui l’esito è felice («Tal bas Gurizze blancie in te verdure / cul so Lusinz turchin ch’i bagne i pîs, / cul so cis’ciel da la sagume scure / oh ce tanc’ costarae di muars e di ferîs?» [In basso Gorizia bianca in mezzo alla vegetazione / col suo Isonzo turchino che la lambisce / col suo castello dalla sagoma scura / oh, quanto costerà di morti e di feriti?]), il poeta, nel ricostruire la vita di trincea, non riesce a raggiungere i risultati sperati: agli orrori della guerra non si addicono il fare sorridente, i toni lievi e scherzosi, i soli che M. sapeva maneggiare con maestria. L’opera, troppo invischiata nel patetico, si interrompe dopo venticinque canti. Alcuni versi del primo canto di Oslavie vennero inseriti nell’atto unico Il uarb di uere [Il cieco di guerra], l’unica tra le commedie scritte da M. ad essere stata pubblicata. M. si spense a Roma il 26 novembre 1933.

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Bibliografia

El Cuarantevott, Udine, Del Bianco, 1903; Refudums dal “Cuarantevott”, coordinati e collegati da D. DEL BIANCO, Udine, Del Bianco, 1906; Un zîr in montagne, Udine, Stabilimento tipografico friulano, 1910; Canzonetis e vilotis, Udine, Del Bianco, 1911; Il uarb di uere (atto unico), Udine, SFF, 1924.

Pieri Corvat [Pietro Michelini], «Rivista della Società filologica friulana», 3/2 (1922), 178-180 (è una bibliografia che riporta anche i singoli componimenti di M. apparsi sulle riviste); B. CHIURLO, Pieri Corvat, l’uomo e il poeta, «AAU», s. V, 13 (1933-1934), 75-112; Pieri Corvàt, «Ce fastu?», 10/1-2 (1934), 2-79 (contiene, oltre alla commemorazione post mortem tenuta da B. Chiurlo, la ristampa di tutto il poemetto Il Quarantevòt e un’ampia scelta antologica); A. CICERI, La “Frae di primevere” a Tresesin in onôr di Pieri Corvàt, «Sot la nape», 9/2 (1957), 28-30 (contiene un saggio di sei sonetti da La difese di Osôf); VIRGILI, La flôr, II, 16-23; CHIURLO - CICERI, Antologia, 377-396; L. SERENI, Ricordando Pieri Corvat, «Ce fastu?», 52 (1976), 187-198 (riporta l’elenco dei manoscritti di P. Michelini conservati presso la BCU); PELLEGRINI, Tra lingua e letteratura, 283-84; D’ARONCO, Antologje, 347.

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