GORTANI MICHELE

GORTANI MICHELE (1883 - 1966)

naturalista, geologo, docente universitario, etnologo, politico

Immagine del soggetto

Il geologo Michele Gortani nel suo studio a Tolmezzo (Tolmezzo, Museo carnico delle arti popolari, Archivio Gortani).

Nacque il 21 gennaio 1883 a Lugo di Galizia, in Spagna, dove la famiglia era emigrata per motivi di lavoro del padre, ingegnere nonché naturalista e apprezzato allievo liceale di Giulio Andrea Pirona. I genitori Luigi  e Angela Grassi erano originari di Arta Terme, dove la famiglia si stabilì al rientro in Carnia dalla Spagna, prendendo residenza a Cedarchis dove il giovane Michele trascorse buona parte dell’infanzia e adolescenza. Fin da giovane, le lunghe escursioni sui monti della Carnia condotte insieme al padre Luigi istillarono in G. una vocazione speciale per l’attenta osservazione e interpretazione della natura, doti che egli dimostrò nel corso di tutta la sua vita. Frequentò il Ginnasio liceo Iacopo Stellini di Udine, quindi l’Università di Bologna dove, all’età di ventuno anni, ottenne la laurea in scienze naturali. Il suo primo lavoro (Nuovi fossili raibliani della Carnia) risale al 1902 e avvia un corpus di oltre 325 pubblicazioni, che riguardano svariate discipline come la geologia, la botanica, la geografia umana, l’etnografia, la storia del pensiero scientifico, e che comprendono applicazioni pratiche, interventi parlamentari, memorie di drammatici momenti della Carnia novecentesca. L’opera scientifica dei primi anni fu anch’essa diversificata e annovera lavori di botanica, di entomologia, di speleologia, di paleontologia, di etnologia. Dal 1904 al 1914, sulla rivista «Mondo Sotterraneo» compaiono, accanto a una decina di articoli, almeno 197 segnalazioni o recensioni di G. Sono schede di geologia e idrologia, che riferiscono non solo la produzione specialmente francese e tedesca, ma segnalano sistematicamente anche l’operosità dei geografi, geomorfologi e naturalisti friulani. ... leggi La formazione del ricercatore nella scuola marinelliana, della quale G. fu degno esponente, prevedeva, infatti, nell’ordine: recensioni su «In Alto» e «Mondo Sotterraneo», brevi resoconti, soprattutto di escursioni, prime interpretazioni, quindi accesso alle riviste nazionali di geografia e geologia. Risale al 1905 la monografia Flora friulana, che egli scrisse assieme al padre Luigi e che rappresenta ancora oggi una descrizione fondamentale della botanica regionale. Già un anno prima, nel 1904, G. era diventato assistente alla cattedra di geologia presso l’Università di Perugia e successivamente, fino al 1912, di Bologna e Torino. Il 17 settembre 1911 sposò Maria Gentile Mencucci, originaria di Zuglio, che gli fu compagna per tutta la vita. Nel 1913 fu eletto deputato del Regno per il collegio di Tolmezzo-Gemona nella XXIV legislatura e rimase in carica fino al 1919. Dopo l’entrata in guerra dell’Italia, G. divenne ufficiale volontario degli Alpini sul fronte delle Alpi Carniche, sul Palgrande, sul Freikofel, sul Pramollo. Un anno più tardi, all’inizio del 1916, il ministro della Guerra Bissolati lo incaricò di riferire al governo sulle condizioni dell’esercito al fronte. G. presentò un rapporto inviso allo Stato maggiore cadorniano e sottopose al Comando supremo delle forze armate una serie di raccomandazioni che probabilmente avrebbero potuto evitare la rotta di Caporetto: il memoriale, tuttavia, valse a G. una condanna e l’incarcerazione per tre mesi nella fortezza di Osoppo. Tra la fine di ottobre e l’inizio del 1917, al disastro di Caporetto seguì l’invasione della Carnia, la fuga dei carnici verso la pianura veneta attraverso Verzegnis, il canale di S. Francesco, la valle dell’Arzino. Coadiuvato dalla consorte Maria Gentile, G. si dedicò completamente all’assistenza dei circa ventimila profughi carnici disseminati lungo tutta l’Italia. A riprova della sua straordinaria capacità di lavoro, nell’anno dell’esilio egli passò 135 notti in treno, scrisse a mano oltre 24.000 lettere, vale a dire più di sessanta al giorno, per non disperdere i contatti con i compaesani dispersi, presentò alla Camera cinquanta interpellanze sui problemi dei profughi e sui disservizi legati alla loro assistenza. Nel marzo 1918, G. istituì e diresse a Pisa l’Ufficio dei profughi pel circondario di Tolmezzo, il cui scopo era quello di occuparsi dell’organizzazione, dell’assistenza e dei rientri. A guerra conclusa, egli si dedicò ad ottenere i risarcimenti dei danni di guerra per le comunità della Carnia. Nel 1922, dopo aver svolto il ruolo di professore incaricato all’Università di Pisa (che aveva ottenuto nel 1913), ottenne la nomina a straordinario sulla cattedra di geologia dell’Università di Cagliari e quindi di Pavia. L’influenza del suo maestro alla Scuola di Pavia, Torquato Taramelli, spostò l’attenzione di G. verso le ricerche geologiche, che presero presto il sopravvento su quelle naturalistiche. Le maggiori scoperte geologiche del primo periodo riguardano il Paleozoico carnico, argomento del quale G. si occupò anche nel resto della sua attività di ricerca. L’importante lavoro di paleobotanica carbonifera del 1905, quello sulla fauna dei calcari a Bellerophon del 1906 e gli studi paleontologico-stratigrafici sul Siluriano e sul Devoniano dei primi decenni del Novecento vanno anche annoverati nel solco delle ricerche geologiche, alcune delle quali egli condusse assieme al collega e amico Vinassa de Regny. Il primato della geologia nell’opera di G. emerge, infatti, nelle sue pubblicazioni scientifiche: su una bibliografia che raggiunge i 324 titoli di lavori raccolti in volumi e periodici (senza contare le innumerevoli relazioni, le recensioni, la pubblicistica divulgativa e i discorsi), 250 circa riguardano tematiche geologiche, come osserva Marcello Manzoni, cui fu dato l’incarico di riordinare la biblioteca e le carte di G. dopo la scomparsa. La ricerca geologica di G., seppur di grande valore, non fu fine a se stessa: lo spiccato senso di solidarietà verso la propria gente portò lo studioso ad occuparsi anche di «quegli aspetti ecologici e sociali della geologia che riguardano l’assetto e la protezione del territorio e la sua utilizzazione antropica», aggiunge Manzoni, che osserva come la rivalutazione del legame equilibrato fra uomo e natura guidò tutta la sua produzione scientifica e sociale. La speleologia, con gli studi relativi al carsismo, alle terre rosse e alla bauxite, alle doline, alle faune fossili cavernicole, rappresentò un altro dei settori prediletti da G., del quale divenne uno tra i maggiori esperti. Nel 1924 diventò titolare di geologia all’Università di Bologna, dove insegnò come professore ordinario fino al 1953 e come fuori ruolo fino al 1958. In quegli anni, G. dedicò alla didattica buona parte delle proprie energie, senza tralasciare tuttavia la produzione scientifica, che divenne vastissima. Tra 1924 e 1925, quando G. ripubblicò la Guida della Carnia e del Canal del Ferro di Giovanni Marinelli, dimostrò ancora una volta di aderire al modello che Marinelli aveva impostato con la Guida del Canal del Ferro (1894) e la Guida della Carnia (1897): opere collettive, di intelligenze associate che, secondo un piano meditato, riferiscono le notizie naturali e civili della regione. G., che al momento dell’inchiesta preliminare per la stesura della sua guida insegnava a Pavia, con carta intestata della Società alpina friulana chiese a ogni sindaco o segretario dei comuni interessati precise informazioni riguardanti popolazione, emigrazione, cooperazione, strade, edifici pubblici, attività industriali, artigianali, turistiche. Secondo Francesco Micelli, infatti, «impegno culturale e tensione civile possono essere interpretate come esempi di valori risorgimentali, come la ‘scienza attiva’ necessaria per una nuova Italia». L’idea dell’intellettuale e dello scienziato quali guide della società, aggiunge Micelli, venne maturando nel Friuli del secondo Ottocento proprio entro il gruppo di amici cui G. apparteneva. La forza di tali originarie motivazioni anche in momenti difficili e complessi sosteneva l’energia di G., la sua volontà di conoscere, di mettere a servizio di tutti la sua scienza. Alla morte di Olinto Marinelli nel 1926, G. sarebbe dovuto diventare presidente della Società alpina friulana (SAF), in quanto interprete più genuino della tradizione scientifica e dell’impegno politico sociale che essa comportava. Di fatto, però, la presidenza della SAF, dopo lungo interregno, fu affidata a Pier Silverio Leicht, già presidente della Società filologica friulana, che godeva invece della fiducia del regime. In occasione della obbligatoria trasformazione della SAF in sezione del Club alpino italiano, G. cercò ancora di resistere, di salvare almeno la biblioteca e la rivista «In Alto», della quale, per restare redattore fino al 1932, dovette iscriversi malvolentieri all’elenco speciale del Sindacato regionale fascista dei giornalisti di Trieste. La difesa degli interessi della Carnia da parte di G. e soprattutto la costituzione della associazione Pro Carnia (1927-1931) confermano fino in fondo l’adesione allo schema politico che Pacifico Valussi ancora nel 1864 aveva formulato. Il paradigma entro il quale coscientemente G. collocava la propria attività politico-amministrativa, osserva Micelli, è già configurato all’indomani dell’unificazione sulla base di pochi principi: le scienze del territorio sono le scienze dell’incivilimento; associazionismo e cooperazione sono le leve del progresso; ogni città secondo il suo grado deve migliorare le condizioni materiali e civili dei propri cittadini e delle proprie campagne; le piccole patrie per sorreggere la grande patria devono coinvolgere nello sforzo di modernizzazione tutte le forze disponibili; le conoscenze dei singoli per «fecondare il campo della pratica» hanno bisogno della libertà, senza la quale ogni progetto viene meno. Nel 1936-1938, per conto dell’AGIP, realizzò assieme ad A. Bianchi due spedizioni geologiche in Africa orientale percorrendo gran parte dell’Hararino e della Dancalia meridionale: risultato delle esplorazioni furono sette carte geografiche, articoli, monografie e la raccolta di numerosi dati, la cui elaborazione fu interrotta dallo scoppio della seconda guerra mondiale. Assieme ad Arrigo Lorenzi, nel 1937 fu impegnato nell’organizzare, come presidente della giunta esecutiva, il XIII congresso geografico italiano tenutosi a Udine. Qualche mese dopo, pubblicò assieme a Giacomo Pittoni un denso volume su Lo spopolamento montano nella montagna friulana, saggio che forma parte della collana che l’Istituto nazionale di economia agraria e il Comitato nazionale per la geografia del Consiglio nazionale delle ricerche dedicarono allo spopolamento montano in Italia. Come in occasione della grande guerra, anche gli eventi bellici tra gli anni Trenta e Quaranta posero G. al fianco della sua gente e al servizio della sua terra. Nel 1944-1945, durante l’occupazione nazi-cosacca della Carnia, egli fu presidente del comitato di assistenza, un organo civile sorvegliato dalle autorità repubblichine e germaniche, impegnato in un’opera di mediazione e di protezione per evitare le rappresaglie sulla popolazione e per scongiurare il piano nazista di cedere l’intera Carnia (Kosakenland in Norditalien) ai cosacchi. Le acute osservazioni di G. su questi tragici eventi furono oggetto di una interessante relazione che egli sottopose alle autorità italiane e alleate una volta concluso il conflitto bellico (Il martirio della Carnia, dal 14 marzo 1944 al 6 maggio 1945). Dopo gli eventi della seconda guerra mondiale, G. dedicò i suoi maggiori sforzi e le sue energie alla sfera sociale e pubblica. Nel 1945 aderì alla Democrazia cristiana. Tra 1945 e 1946, sulle colonne dei periodici «Carnia» e «Lavoro», partecipò attivamente al dibattito per l’istituzione della Comunità carnica, forse il primo modello di organizzazione fra amministrazioni locali legate da interessi territoriali condivisi. Divenne membro della giunta esecutiva per la costituenda Comunità e successivamente, nel 1947, presidente, carica che ricoprì fino alla morte. Nel 1946-1948 partecipò all’Assemblea costituente e, grazie alla sua iniziativa, furono inseriti negli articoli 44 e 45 della Costituzione i due commi che prevedono provvidenze a favore della montagna e dell’artigianato. Non trascurò, tuttavia, la ricerca scientifica alla quale, negli ultimi decenni di vita, dedicò alcuni lavori di sintesi. Nel 1946, come presidente della Società alpina friulana, G. celebrò i cento anni della nascita di Giovanni Marinelli, dichiarandosi uno dei suoi ultimi allievi. Nello stesso periodo fu presidente anche della Società filologica friulana. Dal 1948 al 1953 rappresentò in Senato il collegio di Tolmezzo, impegnandosi in alcune problematiche particolari come la trasformazione fondiaria, la difesa del suolo in montagna, le prospettive delle popolazioni alpine. La legge 991 del 1952 per la montagna e la legge 959 del 1953 sul sovracanone degli enti elettrici verso i comuni dei territori sui quali operano furono strumenti legislativi che in G. trovarono uno tra i più decisi promotori e sostenitori. Il discorso su La Carnia e i suoi bisogni, pronunciato al congresso della Società filologica friulana ad Ampezzo il giorno 11 settembre 1960, aggiunse agli studi sullo spopolamento e sulla «montagna friulana zona depressa» una nuova riflessione. Il punto centrale del discorso è chiaro: «la nostra economia montana si deve trasformare». Ogni innovazione, secondo G., deve nascere da un’esperienza maturata profondamente: antiche tradizioni e nuovi interessi devono cioè interagire. La conoscenza di tutta la letteratura sulla Carnia emerge senza discussione, mentre la constatazione e la verifica sul terreno di ogni asserzione traspaiono dall’intero discorso. La sua fiducia nella scienza e nella risoluzione delle contraddizioni sociali è espressione del suo umanesimo risorgimentale, della sua adesione ai metodi della scuola marinelliana, della quale fu ultimo grande maestro. All’istituzione di un Museo delle arti e tradizioni popolari G., con l’aiuto della consorte Maria Gentile, dedicò le ultime energie della sua esistenza. Si tratta, in realtà, di un progetto che l’aveva impegnato durante tutto il corso della sua vita, durante la quale svolse pazienti ricerche etnologiche nel territorio della Carnia. Il Museo venne inaugurato il 22 settembre 1963 nella sua sede definitiva di palazzo Campeis. G. morì solo tre anni dopo, il 24 gennaio 1966, nella sua casa di Tolmezzo.

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Bibliografia

Tolmezzo, Museo carnico delle arti e tradizioni popolari Luigi e Michele Gortani, Archivio Gortani.

A. DESIO, Michele Gortani, «AAU», s. VII, 7 (1966-1969), 85-124; N. CANTARUTTI, Il memoriale Gortani: le responsabilità del Comando Supremo e la rotta di Caporetto, «Ce fastu?», 44-47 (1968-1971), 171-215; La figura e l’opera di Michele Gortani, a cura di L. MARTINIS, Udine, Comunità montana della Carnia, 1986 (contiene una completa bibliografia delle opere di G. curata da R. Selli - M. Manzoni); E. DORIGO, Michele Gortani, Pordenone, Studio Tesi, 1993; D. BARON, Michele Gortani e il fascismo carnico, Tolmezzo, Fondazione Museo carnico delle arti popolari Luigi e Michele Gortani, 2003; A. P. PERATONER, Michele Gortani e l’attività assistenziale a favore dei profughi carnici 1917-1919, Tolmezzo, Museo carnico delle arti popolari Luigi e Michele Gortani, 2004; F. MICELLI, La ‘scienza attiva’ di Michele Gortani, in Le Alpi che cambiano. Nuovi abitanti, nuove culture, nuovi paesaggi, a cura di M. PASCOLINI, Udine, Forum, 2008, 25-37.

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