MARINELLI OLINTO

MARINELLI OLINTO (1874 - 1926)

geografo

Immagine del soggetto

Olinto Marinelli, presidente della Società alpina friulana dal 1901 al 1926, olio su tela, s.d. (Udine, Società  alpina friulana).

Nacque a Udine il giorno 11 febbraio 1874. L’immagine del padre, Giovanni, che dal castello di Udine insegna al figlio di nove anni a riconoscere i monti del Friuli resta emblematica e consente già di capire come M. sia stato per tempo avviato all’alpinismo, alle “corse in patria”, alla geografia. Di una vita dedicata allo studio e alla ricerca si possono distinguere due periodi: quello che precede e quello che segue la chiamata a Firenze presso l’Istituto di studi superiori. Il periodo che va fino al 1905, anno in cui M. occupa a pieno titolo la cattedra di geografia tenuta dal padre, fu caratterizzato dall’esplorazione “del vicino”, dalla collaborazione intensa con le riviste «In Alto» e «La Geografia per tutti», dalla prevalenza del momento geomorfologico nella descrizione dei luoghi. Include quindi gli studi universitari e l’insegnamento della geografia nelle scuole tecniche di Catania e Ancona. Nel 1895 M. si laureò infatti a Firenze in geologia. La tesi, che fu seguita da Carlo de Stefani, riguardava Tarcento e dintorni, e nacque come opera scientificamente già matura e come tale destinata alla pubblicazione (1902). L’insegnamento in scuole secondarie lontane da Udine non lo separò dalla “piccola patria” e dalla Società alpina friulana (SAF) dove, con Achille Tellini, Francesco Musoni e Arrigo Lorenzi, per citare solo i colleghi, concorse a fondare il Circolo idrologico e speleologico friulano (1897). L’opera più significativa del periodo sono gli Studi orografici sulle Alpi orientali (1898-1904): esaltano la ricerca sul terreno, curano specialmente, ma non esclusivamente, l’aspetto naturalistico accogliendo le problematiche dell’antropogeografia tedesca. ... leggi Senza mai dimenticare l’intensa collaborazione alla «Rivista geografica italiana» e la presenza attiva ai congressi geografici italiani, va segnalato l’interesse per la proposta di Federico Ratzel, cui M. dedicò importanti riflessioni sulla «Rivista geografica italiana» (1902, 1903, 1905), condividendo l’entusiasmo di Renato Biasutti e Cesare Battisti. Morto il padre a cinquantaquattro anni, il 2 maggio 1900, M. fu chiamato dall’Università di Firenze per sostituirlo, in qualità di comandato prima, e di professore di ruolo dopo il superamento del concorso nel 1905. Il viaggio di esplorazione in Eritrea (1905-1906), insieme con Giotto Dainelli, il viaggio d’istruzione negli Stati Uniti con Giuseppe Ricchieri e William Morris Davis (1912), il nuovo viaggio di ricerca, sempre con Dainelli, nel Caracorum (1913-1914), contrassegnarono la nuova stagione di M., durante la quale, pur collaborando intensamente alle «Memorie Geografiche», che l’amico aveva voluto come supplemento della «Rivista geografica italiana», non trascurò le Alpi orientali, cui dedicò due opere fondamentali per la “geografia di casa nostra”, vale a dire I limiti altimetrici del Comelico (1907) e la Guida della Prealpi Giulie (1912). Eliseo Bonetti ha messo in luce come la geografia italiana trovi riconoscimento in campo internazionale dai primi anni del Novecento quasi esclusivamente per merito di M. Infatti L’Atlante dei tipi geografici (1922), frutto della collaborazione con l’Istituto Geografico Militare e con il generale Nicola Vacchelli in specie, è stato impostato prima della guerra e citato come modello già negli Studi sui tipi antropogeografici della pianura padana (1914) di Arrigo Lorenzi. Al dramma della guerra e in specie della profuganza dal Friuli dopo Caporetto, M. prese parte, impegnandosi con tutte le sue forze soprattutto per alleviare le sofferenze dei fuggitivi. A conflitto concluso affrontò il problema della Giulia, la regione che avrebbe dovuto unire a Trieste friulani e istriani. M. sapeva benissimo di trovarsi davanti una inedita realtà, di dover risolvere nel nuovo contesto geostorico la “pertinenza regionale” del Friuli. Per rendersene conto è sufficiente esaminare il Friuli (1924), «sussidiario per la cultura regionale» che Lea D’Orlandi, carissima seconda cugina di M., pubblicava nella collana voluta da Giuseppe Lombardo Radice, allora direttore generale dell’istruzione elementare, e curata da M. stesso. Si può dire che tale opera riassuma limiti e contraddizioni del regionalismo marinelliano, ma che – da altra angolatura – dimostri anche l’interesse ininterrotto per la scuola, cui dedicò atlanti e testi di esemplare chiarezza, e per la quale tra 1917 e 1926 scrisse decine e decine di articoli sulla «Rivista di Geografia didattica», diretta da Sebastiano Crinò. L’opera di M., morto improvvisamente a Firenze il 14 giugno 1926, l’anno stesso in cui scomparvero Ricchieri e Musoni, presenta molteplici aspetti e diversi momenti, ma la qualità e varietà della produzione geografica devono essere sempre e necessariamente ricondotte agli insegnamenti e alla figura del padre. Renato Biasutti osserva che per unità di luoghi e continuità nel tempo si potrebbe parlare in questo caso di una sola attività scientifica. Lo sviluppo di principi e programmi che Giovanni Marinelli aveva affermato e avviato a livello di geografia regionale, nazionale e internazionale rimase pertanto il metro più sicuro per comprendere tanta laboriosità. Di fatto M. succedette al padre come presidente della Società alpina friulana, come direttore di «In Alto», come professore presso l’Istituto di studi superiori di Firenze, come direttore (con Attilio Mori) della «Rivista geografica italiana». Nel caso delle riviste, mantenne alto il livello scientifico, firmando peraltro moltissimi articoli, che costituiscono gran parte di una ingentissima produzione (474 titoli), che si articola in interventi relativamente brevi, ma tra loro organici. Se, per esempio, il discorso annuale del presidente restava tradizionale bilancio delle attività alpinistiche e scientifiche della SAF, anche la Guida delle Prealpi Giulie (1912), che segnò la perfezione del modello, continuò la descrizione del Friuli avviata dal padre. Sottovalutare questo capolavoro significherebbe disconoscere anche la capacità di aggregare e associare le intelligenze attorno ai problemi della montagna, non comprendere da altra angolatura il modo diverso di esser maestri del padre e del figlio. Attorno a M. si strinse la vecchia guardia dei geografi e geomorfologi friulani che già gravitavano attorno al padre e venne formandosi – nonostante i caduti in guerra – un gruppo di giovani che avrebbe rappresentato nel mondo la geologia e geomorfologia italiana. Se tuttavia Egidio Feruglio e Ardito Desio presero il posto di Giovanni Battista De Gasperi e costituirono la generazione nuova, di regola M. – come acutamente osservano Gortani e Biasutti – fu soprattutto animatore e maestro di coetanei. Inoltre non collocò, secondo Dainelli, nelle cattedre di geografia propri allievi, come invece fece il padre, per la preferenza che accordò alle scienze naturali come base di una antropogeografia che era insegnata soprattutto nelle facoltà letterarie, ma che in quelle facoltà aveva scarse possibilità di formazione dei docenti e sviluppo delle conoscenze. La continuità dei programmi di ricerca da padre a figlio subì infine il trauma della prima guerra mondiale: i valori del Risorgimento con l’affermarsi del fascismo entrarono in crisi, le originali motivazioni di giustizia e libertà, al di là di rapporti personali (sempre solidi) tra maestri e allievi, sembravano talvolta cedere interrompendo persino la dialettica tra grande e piccola patria. Due esempi possono illuminare l’atteggiamento che la Geografia di M. assunse prima del conflitto. Nell’intervento al congresso nazionale sull’emigrazione di Udine, organizzato da Giovanni Cosattini nel 1903, M. parlò Dell’emigrazione temporanea sotto l’aspetto geografico con speciale riguardo ai paesi montuosi, sulla base di un’esperienza che solo il continuo contatto e il dialogo sistematico con i montanari resero possibile. Distinse infatti l’emigrazione tradizionale da quella moderna: la prima sarebbe determinata da “cause geografiche”, dalle insufficienti risorse agro-silvo-pastorali; la seconda invece da “cause storiche”, dal potente richiamo delle nazioni industrializzate. L’ordine di grandezza e la profondità del fenomeno trovavano finalmente una spiegazione il cui valore è stato riconosciuto dalle storie più aggiornate dell’emigrazione friulana. Nel momento in cui, con Domenico Feruglio e Arrigo Lorenzi, presentò sulle pagine di «Mondo Sotterraneo» la Relazione al Consorzio Ledra-Tagliamento sopra la provenienza delle acque del Ledra (1914), M. si confermò, da altra angolatura, sostenitore della cattaneana “scienza attiva”. Ogni descrizione – quindi anche ogni cartografia recente e non recente – deve muovere dal principio che l’esatta conoscenza delle componenti di una unità territoriale è il principio di ogni serio intervento. Le “menti associate” restavano sotto questo profilo garanzia di sviluppo economico, non meno che civile. Si può affermare che Egidio Feruglio e Ardito Desio avrebbero condiviso questi principi con Arrigo Lorenzi e Michele Gortani, salvaguardando negli anni della dittatura la dignità scientifica della Scuola geografica friulana. La produzione del dopoguerra di M., a proposito della “geografia di casa nostra”, si intrecciò tuttavia con la politica e oscillò tra le indicazioni del nazionalismo estremo e i risultati di una attività di ricerca che ancora si fondava invece sulle “corse in patria”, sull’indagine sul terreno, sull’uso attento di strumenti cartografici intesi come premesse di una geografia che avrebbe dovuto essere verità e impegno civile. Di fatto i ragionamenti sulla “Carinzia italiana”, sul confine di Pontebba, sul colonialismo e sulla stessa regione Giulia, mantennero di regola orientamenti problematici, non cedendo del tutto alla prepotenza dei fatti compiuti, perché la disciplina del padre imponeva principi e regole, che il figlio non intendeva disattendere.

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Bibliografia

M. GORTANI, Commemorazione di Olinto Marinelli, «Bollettino della Società geologica italiana», 45 (1926), 3-5; R. BIASUTTI, Discorso del prof. Renato Biasutti, «RGI», 34 (1927), 8-20; G. DAINELLI, Olinto Marinelli e la sua opera geografica, Udine, Doretti, 1927; A. SESTINI, La figura e l’opera di Olinto Marinelli con Bibliografia degli scritti di Olinto Marinelli, ibid., 81 (1974), 523-568, 617-683; G. VALUSSI, Il contributo di Olinto Marinelli alla conoscenza geografica del Friuli, ibid., 569-596; E. BONETTI, I riflessi e l’opera di Olinto Marinelli nella letteratura geografica straniera (Brevi annotazioni), in Studi in onore di Federigo Melis, V, Napoli, Giannini, 1978, 581-590; I. LUZZANA CARACI, La geografia italiana tra ’800 e ’900 (Dall’Unità a Olinto Marinelli), Genova, Università di Genova/Istituto di scienze geografiche, 1982; F. MICELLI , L’antropogeografia di Olinto Marinelli, «M&R», n.s., I/1 (1982), 7-22; Validità e attualità dell’Atlante dei tipi geografici di Olinto Marinelli, a cura di A. DI BLASI, Catania, Università di Catania, 1988; F. MICELLI, Un capitolo di storia della geografia italiana. Lettere di Olinto Marinelli a Egidio Feruglio, «In Alto», 113 (1995), 53-62; ID., Confini e rivendicazioni nazionali nelle riviste dei geografi friulani, «M&R», n.s., 26/1 (2007), 3-22.

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