ANDECHS-MERANIA (DI) BERTOLDO

ANDECHS-MERANIA (DI) BERTOLDO (? - 1251)

patriarca di Aquileia

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Denaro scodellato di Bertoldo di Andechs (coll. privata).

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Coperta del Salterio di santa Elisabetta (Cividale, Museo archeologico nazionale, cod. CXXXVII). Stemma degli Andechs dalla coperta del Salterio di santa Elisabetta. Miniatura dal Salterio di santa Elisabetta, donato dal patriarca Bertoldo di Andechs al capitolo di Cividale (Cividale, Museo archeologico nazionale, cod. CXXXVII, f. 7r).

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Miniatura dal Salterio di santa Elisabetta donato dal patriarca Bertoldo di Andechs al capitolo di Cividale (Cividale, Museo archeologico nazionale, cod. CXXXVII, f. 7r).

Nacque verso il 1180, ultimo figlio maschio di Bertoldo IV conte di Andechs, marchese d’Istria e duca di Merania († 1204). B. discendeva dunque da una delle più potenti famiglie dell’Impero; l’influenza degli Andechs dalla Franconia, attraverso la Baviera e il Tirolo, si estendeva sino alla Carniola e all’Istria. Come suo fratello Ekbert, dal 1203 vescovo di Bamberga, anche B. fu destinato alla carriera ecclesiastica che ebbe inizio proprio a Bamberga dove fu preposito. Nel 1205 B. seguì la sorella Gertrude, andata in sposa ad Andrea Arpad in Ungheria. Già nel 1207, nonostante la sua giovane età, divenne arcivescovo di Kalocsa. Tale scelta inizialmente non incontrò l’approvazione di papa Innocenzo III che dubitava soprattutto della preparazione spirituale e culturale del giovane prelato. A Roma ben presto si scoprì che le rassicurazioni ricevute dall’arcivescovo di Salisburgo, incaricato di verificare l’effettivo livello delle conoscenze di B., erano prive di ogni fondamento, se non addirittura delle vere e proprie menzogne. B., per rimediare all’umiliazione, decise di recarsi a Vicenza e completare gli studi; fu tuttavia costretto a fare ritorno in Ungheria in quanto non era degno di un vescovo dimostrare in modo tanto palese la sua impreparazione. L’ascesa del prelato proseguì tuttavia senza ostacoli grazie al sostegno del cognato che concesse a B. i titoli di voivoda di Transilvania e di conte di Bács-Bodrog. Nel 1213, l’influenza di B. e degli Andechs-Merania nella vita politica del regno d’Ungheria provocò la reazione dei magnati i quali ordirono una congiura che si concluse con l’assassinio di Gertrude. Tale reazione può essere letta, più in generale, come la conseguenza dell’eccessiva apertura di Andrea nei confronti del mondo germanico. ... leggi Lo stesso B. fu imprigionato ma, dopo essere fuggito, riuscì a porsi in salvo. Il giovane vescovo, dimostrò di non voler far ritorno in Ungheria e nel 1217, al seguito del duca d’Austria, giunse in Friuli. In quell’occasione si rese conto che ben presto si sarebbe presentata la possibilità di succedere a Folchero, l’ormai anziano patriarca di Aquileia che infatti morì di lì a poco (1218). Il giovane A., allontanato dalla sua sede, approfittò della parentela che lo univa agli avvocati della Chiesa aquileiese, i potenti conti di Gorizia. Enghelberto III di Gorizia (1186-1221) aveva infatti sposato in seconde nozze Matilde, sorella di Bertoldo IV di Andechs, che pertanto era anche zia dello sfortunato arcivescovo di Kalocsa. Nonostante l’opposizione di una parte del capitolo di Aquileia che sosteneva la candidatura del canonico Uldarico, B. riuscì ad imporsi ed Onorio III, che inizialmente aveva annullato l’elezione, in seguito tuttavia procedette alla nomina inviando il pallio al nuovo patriarca. Il pontefice ritenne che B. fosse la persona più adatta a contrastare le innumerevoli minacce che incombevano sul patriarcato aquileiese e nel 1219 il neoinsediato metropolita fu costretto a fronteggiare in Friuli una rivolta dell’aristocrazia, o meglio dei “liberi”. I ribelli ricevettero il sostegno del comune di Treviso, del conte del Tirolo e del duca di Carinzia. Il patriarca, oltre a scongiurare l’intervento del duca d’Austria e di Venezia in favore dei suoi oppositori, riuscì a stringere un’alleanza con Padova e ad ottenere il sostegno del pontefice. Nel 1220 B. divenne cittadino di Padova, promise di edificare in città dei palazzi e di farvi risiedere alcuni suoi militi ed i Padovani, a loro volta, si impegnarono a sostenere il patriarca in caso di guerra. Aprì quindi delle trattative con i ribelli e questi, ben presto, accettarono le proposte di B. (1221); il papa aveva inoltre concesso al patriarca di scomunicare i Trevigiani nel caso questi avessero tentato di usurpare i beni della sua Chiesa. Rinnovò dunque il patto siglato dal suo predecessore con Venezia confermando le consuetudini che da lungo tempo regolavano le relazioni ed i commerci fra il patriarcato e la città lagunare (1222). Nel 1220 il patriarca incontrò Federico II che impartì delle disposizioni sulla tregua sottoscritta con Treviso e confermò a B. i diritti sul Friuli e le prerogative feudali nel patriarcato. Il metropolita aquileiese seguì Federico a Roma e assistette alla sua incoronazione. Ben presto divenne uno dei più fedeli consiglieri dell’imperatore. Nel 1230 la sua mediazione fu essenziale quando il pontefice e l’imperatore sottoscrissero la pace di S. Germano, tanto che la sua opera fu apprezzata persino dalla Santa Sede. Nel 1231 B. si recò in Terrasanta e fu presente alla riconsacrazione dell’altare del Santo Sepolcro a Gerusalemme. Ritornato in Italia fu al seguito dell’imperatore ma, nel 1232, non riuscì a comporre la lite fra Federico II e suo figlio Enrico. L’imperatore fu così costretto ad imprigionare il figlio, che si era ribellato, e lo affidò proprio alla custodia del fedele patriarca. La politica apertamente ghibellina di B. consentì al patriarca di tenere a bada Ezzelino da Romano che apertamente ambiva ad estendere la sua influenza a spese dello stato teocratico friulano. Tale politica ebbe tuttavia anche dei risvolti negativi: quando B., nel 1239, incontrò a Vicenza l’imperatore, Federico II era stato scomunicato e il pontefice colpì con lo stesso provvedimento anche il patriarca. Nel frattempo Treviso si ribellò ad Ezzelino, schierandosi con i guelfi. Il comune rappresentò nuovamente una minaccia per il patriarcato. B. chiese a Federico di poter distruggere i ponti sul Livenza per porre termine alle razzie dei Trevigiani e, dopo essersi alleato con Ezzelino, mosse guerra a Treviso. Le ingenti spese belliche, la crisi del ghibellinismo italiano e soprattutto il timore di una scomunica, che avrebbe potuto vanificare tutto il suo operato, spinsero B. a riconsiderare la sua posizione politica e nel 1245, recatosi al concilio di Lione, passò, sorprendendo alleati e nemici, dalla parte dei guelfi. Furono allora Ezzelino e Mainardo di Gorizia i due più temibili avversari del patriarca, che cercò il sostegno di Venezia, Mantova e Ferrara per contrastare le minacce dei nuovi nemici. La nuova politica patriarcale, evidentemente rivolta ai comuni dell’Italia settentrionale, rappresentò un’evidente frattura con il passato. Tale svolta fu probabilmente propiziata dall’attenta mediazione condotta da Gregorio di Montelongo, legato pontificio e, dal 1251 al 1269, successore di B. Questi ebbe dunque il coraggio di dare una svolta epocale alla politica filoimperiale dei metropoliti aquileiesi. Il Friuli si aprì definitivamente alla realtà italiana, ben più dinamica, ma allo stesso tempo più imprevedibile nei suoi possibili sviluppi di quel mondo germanico, che fino ad allora era stato punto di riferimento privilegiato per i ceti dominanti del patriarcato. Dall’età di B. alla sua caduta lo stato patriarcale visse il periodo più tormentato, ma allo stesso tempo più ricco di novità della sua storia. Federico II consentì allora a Mainardo di Gorizia di occupare i beni della Chiesa di Aquileia, ma B. si riconciliò con il suo avvocato e, poco prima di morire, il 23 maggio 1251, donò alla Chiesa di Aquileia i beni che possedeva a Windischgraz. Il suo corpo fu sepolto nella basilica di Aquileia. Il patriarcato di B. vide inoltre la nascita del parlamento, istituto che sarebbe sopravvissuto alla caduta del patriarcato per esercitare un’essenziale funzione nel corso di tutta l’età veneta, e lo sviluppo di Udine che ben presto, grazie all’affermarsi di un’intraprendente borghesia cittadina, avrebbe contrastato Cividale, ancora aristocraticamente rivolta al mondo oltralpino. Nel 1223 B. concesse particolari esenzioni fiscali a quanti risiedevano entro le mura della città e un mercato, che favorirono il rapido incremento demografico ed i commerci. Anche la vita religiosa di quello che fino ad allora era stato poco più di un abitato rurale fu al centro degli interessi del patriarca, B. nel 1245, al concilio di Lione, chiese a papa Innocenzo IV di autorizzare il trasferimento della prepositura di Sant’Odorico al Tagliamento a Udine. Il pontefice acconsentì a tale richiesta, ma il trasferimento ebbe effettivamente luogo solamente un secolo più tardi. B. non fu in grado di portare a termine il suo progetto a causa della complessa situazione politica che lo impegnò costantemente fino alla sua morte; anche se proprio la chiesa di S. Odorico di Udine, fatta edificare dallo stesso B. agli inizi del suo patriarcato, divenne la sede del capitolo di Udine e già Gregorio di Montelongo (1251-1269), suo successore, nel 1263 vi istituì un collegio di canonici. Del primitivo edificio di S. Odorico di Udine, distrutto in seguito alla costruzione dell’attuale duomo, consacrato dal patriarca Bertrando nel 1335, sono state riportate alla luce solamente alcune parti delle fondamenta. Di notevole interesse sono i codici che B. donò al capitolo di Cividale, il Salterio di Egberto ed il Salterio di santa Elisabetta, due fra i più celebri manoscritti miniati conservati in Friuli. Il Salterio di Egberto (Museo archeologico nazionale di Cividale del Friuli, CXXXVI), del X secolo, commissionato dall’arcivescovo di Treviri Egberto (977-993) al monaco Ruotprecht, donato da B. al capitolo di Cividale, rappresenta un eccezionale esempio della scuola ottoniana. Le miniature possono essere considerate uno dei massimi esempi della scuola di Reichenau. Il codice dopo essere appartenuto nell’XI secolo alla principessa polacca Gertrude Piast, passò all’abbazia di Zwiefalten e quindi agli Andechs Merania. Di eccezionale qualità anche l’apparato decorativo del Salterio di santa Elisabetta (Museo archeologico nazionale di Cividale del Friuli, CXXXVII); secondo la tradizione sarebbe appartenuto a Elisabetta (canonizzata da papa Gregorio IX), figlia di Gertrude di Andechs-Merania, moglie del langravio di Turingia Ludovico e nipote di B. Come già nel caso del Salterio di Egberto, anche questo codice, prodotto della scuola sassone-turingia, agli inizi del XIII secolo, giunse a Cividale grazie a B. Un patriarca che dunque deve essere ricordato non solo per le sue capacità politiche, ma anche, a dispetto delle polemiche che travagliarono i primi passi della sua carriera, per le sue benemerenze in campo storicoartistico e culturale.

Nonostante la scarsità dei dati documentari e le non numerose testimonianze artistiche superstiti a noi pervenute, è possibile asserire che il lungo patriarcato di B. di A. rappresentò per la produzione artistica nelle terre del Patriarcato un momento di particolare rilevanza. Sicuramente il patriarca prese l’iniziativa di costruire, a Udine, la chiesa di S. Odorico che, secondo la tradizione, sarebbe stata eretta tra il 1225 e il 1236. B. non riuscì a trasferire nel nuovo edificio i canonici di S. Odorico al Tagliamento (nonostante l’assenso dato da Innocenzo IV nel 1245 a Lione), e fu solo Gregorio di Montelongo a sancire nel 1263 il trasferimento dei diritti di pieve da S. Maria di castello alla nuova S. Odorico. Successivamente sul luogo della chiesa eretta da B. – dedicata poi, sotto Raimondo della Torre, a S. Maria Maggiore – venne innalzato in forme gotiche il duomo attuale, profondamente modificato nel suo interno dalla riforma barocca voluta, nei primi decenni del Settecento, dai Manin e dalla magnifica comunità udinese. Resta difficile stabilire se Gregorio di Montelongo abbia completato la costruzione seguendo l’originario progetto di B., o se abbia invece ampliato l’edificio secondo un diverso progetto. Secondo Someda de Marco il Montelongo avrebbe eretto una nuova e più ampia chiesa (corrispondente all’invaso del duomo gotico modificato dalla riforma barocca) sul sito della precedente, da B. portata a compimento. Per altri il duomo “romanico” bertoldiano, con gli ampliamenti apportati dal Montelongo sarebbe stato in uso sino a Pagano della Torre (1332) che avrebbe eretto il duomo gotico consacrato nel 1335 da Bertrando de Saint-Geniès. Grazie agli scavi condotti negli anni Sessanta del Novecento nella navata e in parte del transetto del duomo, si sono potute rilevare tracce delle fondazioni della chiesa romanica bertoldiana e recuperare frammenti della decorazione a fresco insistente sulla zoccolatura dei pilastri e delle pareti (oggi conservati nei depositi del Museo del duomo di Udine). Una recente riconsiderazione della documentazione eseguita in occasione dei sondaggi (fotografie e rilievi), porterebbe a ritenere più probabile che il Montelongo abbia completato la costruzione dell’edificio non terminato da B. Le tracce delle murature permetterebbero di ricomporre un edificio costruito secondo un progetto unitario. La chiesa romanica presentava tre navate con una larghezza complessiva di venti metri (nove la centrale, cinque la navata sinistra, sei quella destra), circa la metà della larghezza del successivo duomo gotico. Gli elementi in nostro possesso non consentono di asserire la presenza del transetto, né di dimostrare (come spesso si asserisce) che sul luogo dell’attuale cappella “Corporis Christi” (lato nord) sorgesse il primitivo battistero, sostituito dall’attuale, fatto erigere da Bertrando di Saint-Geniès. Non chiara neanche la conformazione dell’abside dove alcuni hanno riconosciuto le fondamenta della chiesetta di S. Girolamo, fondata dalla comunità slava insediatasi sin dall’XI secolo nella città e sul sito della quale B. avrebbe eretto la sua chiesa. Con buon margine di sicurezza, va riferita al pontificato di B. la decorazione dell’interno della pieve udinese di S. Maria in castello. La decorazione a fresco si estendeva sia sulle pareti e calotte delle tre absidi che sulle pareti delle navate. L’impegnativa impresa, della quale sussiste solo la decorazione dell’abside laterale sud e parte di quella nord oltre a scarsi frammenti sulle pareti delle navate, venne condotta da due maestri e potrebbe essersi conclusa nel periodo immediatamente successivo al patriarcato di B. Nell’iconografia degli affreschi della pieve udinese si costata la conoscenza delle miniature del Salterio di santa Elisabetta donato da B. al duomo cividalese. Grazie alle scoperte avvenute dopo il sisma del 1976 è possibile rendersi conto della vivace circolazione culturale che sembra aver caratterizzato il patriarcato di B.: accanto allo stimolo costituito da presenze pittoriche eccellenti come il Salterio di santa Elisabetta, precoce esempio di “Zackenstil” giunto in ambito patriarcale, sembra riflettersi nella pittura del tempo l’ampio respiro della politica svolta dal patriarca, amico di Federico II, nei suoi rapporti con Venezia e l’entroterra, dalla Marca Trevigiana a Verona ai paesi confinanti di cultura tedesca. Gli autori degli affreschi della chiesa del castello di Udine furono attivi nel territorio circostante la città come dimostrano le scoperte di significativi lacerti di pittura murale nella chiesa di S. Caterina a Pasian di Prato, nella chiesa della Tavella a Madrisio di Fagagna, nella parrocchiale di Primulacco, nella chiesetta di S. Nicolò a Martignacco e nella parrocchiale di Beivars. Accanto a questi maestri operano negli stessi anni maestranze di diversa formazione culturale come l’autore del ciclo di affreschi in S. Michele a Pescincanna (Fiume Veneto) e quello degli affreschi della chiesa dei Santi Andrea e Anna a Perteole (Ruda). Quasi completamente scomparse sono invece le testimonianze plastiche riconducibili al periodo: il recente restauro del monumentale Crocifisso ligneo della cappella Bresciani a Cervignano, forse proveniente da Aquileia, permette tuttavia di asserire che anche nel settore della produzione plastica il patriarcato di B. sembra esser stato caratterizzato da presenze artistiche di rilievo, permeate da una cultura capace di cogliere le novità della plastica di ascendenza antelamica coniugate con chiari influssi d’area nordica.

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Bibliografia

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