PORCIA (DI) IACOPO

PORCIA (DI) IACOPO (1462 - 1538)

giurista, uomo d'armi, letterato

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Prima pagina del trattato "De re militari" di Iacopo di Porcia, Venezia 1530.

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Frontespizio dell'epistolario "Opus Iacobi comitis Purliliarum" di Iacopo di Porcia.

Primogenito del conte Artico e della nobildonna Francesca Padovani da Colloredo, I. nacque nel 1462 da una delle più antiche e potenti famiglie feudali del Friuli, alleata di Venezia fin dal 1418, quando il conte Artico giurò fedeltà e si fece vassallo della Repubblica. Destinato all’amministrazione dei feudi di famiglia, ricevette l’educazione tipica dell’aristocrazia dell’epoca, dedicandosi alla caccia, ai giochi, agli esercizi cavallereschi e ricevendo i suoi primi rudimenti letterari da un precettore privato: l’umanista di origine bresciana Bartolomeo Uranio. Trasferitosi poi a Pordenone per approfondire le sue conoscenze nelle “cose letterarie”, seguì le lezioni del dotto professore di lettere Francesco Mottense. Si recò in seguito a Venezia, per perfezionare la propria cultura sotto la guida di Benedetto da Legnago, per apprendere la retorica e le lettere greche e latine e affrontare lo studio diretto degli antichi autori. A diciannove anni l’improvvisa morte del padre lo costrinse ad abbandonare Venezia e gli studi e a ritornare a casa per attendere, come primogenito, all’amministrazione delle proprietà e degli affari di famiglia, che curò per un anno, lasciando la gestione dei beni alla madre e riprendendo gli studi interrotti, per i quali sentiva sempre più viva inclinazione. Approdò così all’ultima tappa del cursus studiorum dell’epoca, la celebre Università di Padova, ove conseguì la laurea in utroque iure. Essendogli mancata nel frattempo anche la madre, fu costretto a lasciare definitivamente Padova e a fare ritorno a Porcia per riprendere le redini dell’economia familiare. Nel 1486 si unì in matrimonio con la cugina Cecilia di Porcia, da cui ebbe un figlio, Federico, ma ella lo lasciò vedovo dopo solo un anno di vita coniugale. ... leggi Nel 1509 assunse volontariamente il comando delle milizie della destra del Tagliamento contro le truppe austriache nella guerra della lega di Cambrai contro Venezia. Finita la guerra si ritirò nel suo paese natale, dove passò a nuove nozze con Cornelia della Frattina, da cui ebbe tre figli: Giambattista, Gianmaria, e Germanico. La sua esperienza militare gli ispirò la stesura del trattato De re militari, in due libri, paragonabile all’Arte della guerra del coevo Niccolò Machiavelli, dove illustra i principi della scienza bellica dall’antichità al suo tempo, con speciale riguardo alle mutazioni che vi produsse l’introduzione delle armi da fuoco. Il trattato, stampato nel 1527, fu tradotto in inglese e edito a Londra col titolo The preceptes of warre, translated by Pether Betham. Trascorse nel suo castello gli ultimi anni della sua vita. Morì il 30 luglio 1538 e fu sepolto nella chiesa di S. Maria Maddalena dei padri serviti di Porcia. Della passione che lo accompagnò per tutta la vita, la caccia, il conte I. lasciò testimonianza nell’originale trattato De venatione, aucupatione et piscationibus Iacobi comitis Purliliarum, giunto fino a noi grazie all’opera dello studioso Antonio de Pellegrini, che trasse una copia del manoscritto originale conservato nell’Archivio privato dei conti di Porcia, prima che andasse distrutto dall’invasione austriaca durante la prima guerra mondiale. Altri scritti del P., da lui menzionati nel suo epistolario, andarono irrimediabilmente perduti. Non rimane traccia, ad esempio, di due opere storiche: una storia romanzata sull’assedio di Attila alla città di Aquileia e sulle gesta di Morando, un antenato del conte di Porcia, che partecipò valorosamente, come altri feudatari, alla difesa del Friuli, e una vita dei patriarchi di Aquileia, il De vitis patriarcharum Aquileiensium. Altre opere smarrite del conte I. sono un trattato De terreni, coelestique regni comparatione, un Bellum Gallicum, un De proverbis e un curioso trattato De vitiis mulierum, di cui fa menzione in una lettera indirizzata a Francesco Mottense. Uomo eclettico e di multiforme ingegno, il P. trattò nella sua produzione letteraria i più svariati argomenti. Il suo primo lavoro è intitolato De reipublicae Venetae administratione domi forisque. Stampato a Treviso da Gerardo di Fiandra nel 1493, questo opuscolo dedicato al patrizio veneto Sebastiano Priuli, giureconsulto e protonotario apostolico, tratta delle varie magistrature venete, e loda l’eccellente organizzazione della Serenissima. Più o meno contemporaneo, e sempre edito a cura del medesimo tipografo nel 1492 è il trattato De generosa liberorum educatione, dove il P. coniuga la tradizionale concezione educativa aristocratica, con la nuova moda della cultura umanistica. Se un giovane rampollo non ha che due carriere da scegliere, quella militare e quella ecclesiastica, nei primi anni dev’essere seguito da un istitutore privato, per poi passare alla scuola pubblica – com’era accaduto infatti per lo stesso I. –, deve anche imparare ad esprimersi correttamente in latino, la vera lingua dei dotti e delle persone di una certa levatura (mentre il friulano viene considerato una lingua inferiore, adatta solo al popolo e alle ragazze), deve leggere Cicerone, Livio e Sallustio, autori moralmente oltre che linguisticamente formativi, deve infine irrobustire il corpo con l’esercizio fisico e deve allenarsi con coraggio all’uso delle armi. Al di là di questa sporadica esperienza in campo pedagogico, il P. rimane comunque uno scrittore di storia, a partire dal De bello Germanico Venetorum cum Maximiliano, che narra della guerra della Repubblica di Venezia con l’imperatore e in particolare degli avvenimenti del conflitto in Friuli, di cui era stato spettatore diretto. A quest’opera egli aggiunse poi un’originale narrazione dell’assedio di Marano comandato dal celebre Girolamo Savorgnan, intitolata De Marani oppugnatione et obsidione anni MDXIV. Questi due opuscoli, tuttora inediti, sono conservati nella Biblioteca di San Daniele, in un codice cartaceo un tempo appartenuto a Giusto Fontanini. Nel medesimo codice Fontanini si trova lo scritto De Turcarum invasione in vallem Piucam, che narra della breve scorreria dei Turchi nella Carniola nel 1522. Questa non è l’unica opera del P. sulle invasioni dei Turchi: infatti sull’argomento aveva già scritto due opuscoli in cui rievocava i tragici avvenimenti della sua giovinezza, De recenti Foroiuliensium clade anni 1499 Kal. octobris, e De veteri Foro iul ien sium clade 1477 pridie Kal. novembris, cronache delle ultime invasioni turchesche in Friuli, stampati a Udine dal Vendrame nel 1851 dalla copia trattane dal Liruti, col titolo Due invasioni dei Turchi narrate dal conte Iacopo da Porcia. Sempre legato alle vicende delle invasioni in Friuli è lo scritto In laudem Iacobi Mamaluchi che narra la vita e le avventure di un contadino di Malnisio catturato dai Turchi. Il resto del voluminoso codice contiene infine un’ampia raccolta di duecentoquaranta lettere, scritte nei primi vent’anni del Cinquecento, intercalate con discorsi e dialoghi toccanti gli argomenti più vari. Tra i principali interlocutori troviamo Angelo Aretino, teologo e frate servita, divenuto poi generale dell’ordine, il letterato Giambattista Egnazio, l’umanista Giambattista Uranio, il conte Doimo Frangipane di Udine. Da segnalare un discorso di argomento religioso contro Lutero, ma anche l’epistola all’Uranio, datata 1509, dove si parla della cessione di Gorizia agli imperiali, o quella del settembre 1511 all’Egnazio nella quale I. espone le sue preoccupazioni per l’arrivo della peste a Porcia. Leggiamo poi un interessante discorso Montereale nel secolo XVI ad Antonio pievano di Montereale, nel quale il P. si abbandona ad un’amena descrizione del luogo. L’epistola in latino è il modello letterario più congeniale al P., un ideale contenitore dove, con stile composto ed elegante, egli riesce ad inserire riflessioni storiche, letterarie e autobiografiche. Non a caso, la sua opera principale è la raccolta di lettere Opus Iacobi comitis Purliliarum epistolarum familiarum senza data né luogo di pubblicazione, ma sicuramente posteriore al 1520, anno della morte di Bartolomeo Uranio, di cui alla fine del volume si legge l’elogio funebre. L’altra silloge, quella ancora inedita del codice Fontanini, doveva essere la continuazione, una sorta di secondo volume di questo primo gruppo di epistole. Lo stile è il medesimo della raccolta di San Daniele, gli argomenti letterari o d’erudizione, i corrispondenti sono letterati o uomini illustri della scena locale, ma anche italiana ed europea. Accanto al figlio Federico, dedicatario dei sei libri di epistole, troviamo Iacopo Caviceo, il patrizio veneto e arcivescovo Sebastiano Priuli, l’umanista pordenonese Pietro Edo, gli antichi maestri Francesco Mottense e Benedetto da Legnago, Marcantonio e Giambattista Uranio, Antonio Franceschini da Gemona, Francesco Fortunio, Antonio Filermo, Cornelio Paolo Amalteo, Nicolò Chieregati, ma anche Francesco Filarete, Angelo Aretino, Bernardino e Francesco Anconetano, Galeazzo Borromeo e Giovan Battista Pontano. Le epistole, che sono per la maggior parte discussioni erudite, ci offrono un panorama della vita culturale e sociale dell’epoca, ma non mancano spunti autobiografici e ovunque traspare la profonda consapevolezza di una professione letteraria vissuta come scopo ultimo, intellettuale e morale, dell’esistenza. La passione letteraria andò al di là della fede politica: fedele suddito della Serenissima, non esitò infatti a patrocinare la stampa dei Commentarii Aquileienses dell’udinese e filoasburgico Giovanni Candido.

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Bibliografia

Un ms contenente opere del P. è conservato nella Biblioteca civica Guarnieriana di San Daniele.
I. DI PORCIA, De liberorum educatione, impressum Tarvisii per Gerardum de Flandria, die XI settembris 1492; ID., Clarissimi viri Iacobi Purliliarum comitis De re militari liber, impressum Venetiis, in aedibus Ioannis Tacuini de Tridino, XXVI Februarii 1530; ID., Opus Iacobi comitis Purliliarum epistolarum familiarum, senza note; Due invasioni dei Turchi in Friuli, narrate dal Conte Iacopo di Porcia, raccolte da Giovanni Giuseppe Liruti di Villafredda, a cura di G.G. LIRUTI, Udine, Vendrame, 1851; G. DI PORCIA, Un’orazione nuziale del conte Iacopo di Porcia e Brugnera (1462-1538). Notizie biografiche e commento del co. dott. Guglielmo di Porcia e Brugnera, Pordenone, Arti grafiche, 1937; Fiamme d’umanesimo in Friuli. Vari inediti del co. Iacopo di Porcia (1462-1538), a cura di E. FABBROVICH, Alessandria, Unione tip. Ed. Ferrari, Occella e C., 1940; A. BENEDETTI, Il trattato della caccia, uccellagione e pesca del conte Iacopo di Porcia, Pordenone, Arti grafiche Cosarini, 1952.
LIRUTI, Notizie delle vite, I, 401-408; MARCHETTI, Friuli, 222-228; V. JOPPI, Iacopo conte di Porcia, Udine, Doretti (nozze Sellenati-di Porcia), 1881; A. DE PELLEGRINI, Genti d’arme della Repubblica di Venezia. I condottieri di Porcia e Brugnera (1495-1797), Udine, Del Bianco, 1915.

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